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Intervista a Francesco Piccinini, direttore di Agoravox.it

Francesco Piccinini è uno dei giovanissimi del Festival di Perugia, intervenuto come ospite esperto di comunicazione digitale e nuovi modelli di consumo dell’informazione. Ventisette anni, insegnante universitario a Parigi dove ha svolto un dottorato in comunicazione, è un cervello in fuga con il sogno di tornare a lavorare nella sua Napoli. Un primo passo di ritorno verso l’Italia l’ha già fatto questo settembre, quando a seguito di uno scambio di idee con il fondatore di Agoravox.com, Carlo Revelli, ha assunto la direzione del neonato Agoravox Italia.

Un vantaggio e uno svantaggio del giornalismo partecipato.

Il pregio del citizen journalism è la prossimità. Se scrivo di quello che mi è vicino, sia culturalmente che fisicamente, è più probabile che il mio lavoro sia competente e attendibile. Il rischio, paradossalmente, è l’eccessivo entusiasmo che talvolta porta a mettere la propria opinione davanti all’oggettività dei fatti.

Ci sono anche casi, i più interessanti, in cui l’informazione online dà spazio a chi altrimenti non avrebbe voce. Gli esempi sono tanti, soprattutto se abiti al sud: quando parli di camorra o di mafia non sei mai ascoltato, a meno che tu non abbia la fortuna di diventare un fenomeno mediatico. Ma la vita di tutti i giorni della gente normale, vissuta sotto la pressione della criminalità organizzata, non può emergere se non attraverso le testimonianze dei singoli.

Questo per quanto riguarda il modo di fare informazione. Ma come cambia il consumo? Come faccio cioè a trovare ciò che cerco su internet, e soprattutto a sapere che quello che leggo è corretto?

L’attendibilità dovrebbe essere frutto di uno sforzo collettivo. Su Agoravox abbiamo un sistema di moderazione offline, e inoltre i lettori hanno la possibilità di valutare con un click ogni articolo, lasciare un commento, segnalare errori o imprecisioni. Questo è un filtro importante, un controllo collettivo: se un articolo viene letto e valutato da mille persone è probabile che il risultato finale sia più preciso rispetto ad un lavoro prodotto e riletto solo da me.

Per quanto riguarda invece il modo di orientarsi su internet, sembra che questo sia il problema più difficile: costruire una mappa, guidare l’utente attraverso percorsi di informazione coerenti è la grande sfida di oggi.

Spesso i giornalisti che lavorano per la carta stampata attribuiscono la responsabilità di certe restrizioni nell’informazione agli editori. Esistono dei poteri forti “nemici” del giornalismo online?

Il discorso è personale, ogni giornalista ha la sua etica e il suo modo di lavorare. E’ normale che per quanto riguarda la carta stampata, gli editori abbiano una certa influenza sul lavoro del giornalista. Ma il problema vero è che molti si autocensurano, perché conoscono quel tale politico, o hanno paura di disturbare qualche soggetto influente. E questa inclinazione, naturalmente, non dipende dal mezzo attraverso cui si comunica.

Ci sono delle persone che hanno influenzato il tuo modo di essere giornalista?

Ho avuto la fortuna di essere influenzato, direttamente o metaforicamente, da persone che più che insegnarmi un mestiere hanno cambiato il mio modo di pensare: Pasolini, Stephen Biko, i due giudici Falcone e Borsellino. Infine, Nelson Mandela e Desmond Tutu, che ho avuto la fortuna di conoscere di persona. Tutti loro mi hanno insegnato a combattere per ciò in cui credo, ma anche ad esprimere la mia rabbia in modo costruttivo, non come semplice sfogo ma come stimolo per migliorare.

Lou Del Bello

 

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