Dialoghi tra penne mordaci. La satira di Michele Serra e Riccardo Barenghi
Graffiante e velenosa, la satira è un’arte. L’arte di usare le parole per sferrare colpi di fioretto, perché “anche con compostezza si possono dire cose terribili”. E allo stesso tempo far ridere. Quando il giornalismo è una belva feroce è stato più che un dibattito una conversazione tra due autori, Michele Serra e Riccardo Barenghi, che non risparmiano nessuno e con ironia implacabile colpiscono la politica come la società civile.
Riccardo Barenghi, incalzato dalla curiosità di Giovanna Zucconi, racconta come dietro Jena, il corsivo satirico che scrive sulla Stampa, non esista una vera e propria progettualità. “La battuta arriva fulminea, di getto. Quasi per miracolo. E, se non arriva spontanea, vengo preso dall’ansia perché rischio di scrivere banalità.”. Jena, la belva più feroce del giornalismo italiano nasce nel 1998, quasi per caso: “allora ero direttore del Manifesto e facevo fatica a trovare qualcuno che scrivesse il corsivo. Così ho cominciato a farlo io, firmandomi però, essendo il direttore, con uno pseudonimo. Col tempo poi Jena è diventata sempre più malvagia”. Nonostante il suo orientamento politico, raramente i bersagli sono personaggi di destra. “Perché sempre la sinistra? Perché la amo e mi riesce meglio. Perché con la sinistra viene automatico. In fondo, è più facile mordere chi hai vicino”.
Michele Serra definisce la sua Amaca “un quadretto quotidiano di 1400 battute”. Una piccola finestra satirica ispirata alla scrittura di Fortebraccio, dove non si accanisce solo con i politici ma anche contro le storture della società civile, perché “la classe dirigente assomiglia molto a chi la elegge”. Per farlo occorre comprendere le potenzialità e il valore del linguaggio: “chi usa le parole deve proteggerle. Il linguaggio di un’artista è diverso da quello di un politico e per questo dev essere tenuto separato”. Allo stesso modo sottolinea l’importanza di non confondere la satira con la politica, rifuggendo da ogni forma di promiscuità.
Nell’ultima parte la conversazione si trasforma in un dibattito sulla natura e sul futuro del giornalismo italiano. Serra non ha dubbi: “i giornali di carta potranno sopravvivere solo se saranno selettivi. Su internet puoi trovare tutto, è vero. Ma ci sarà sempre bisogno di qualcuno che sceglie le notizie.” E, alla domanda di uno studente che chiede come i giovani debbano approcciarsi a un sistema giornalistico pieno di contraddizioni, risponde con realismo: “la libertà non esiste. Le condizioni di chi vuole intraprendere questa professione sono sempre più sfavorevoli, anche perché oggi il vero padrone è la pubblicità”. Ma da una tale scoraggiante prospettiva, secondo Serra, esiste una via d’uscita che consiste “nell’auto convincersi che le circostanze esterne siano più deboli della tua forza di volontà”.
Giulia Zaccariello