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Davide Sassoli: il giornalismo può rendere liberi

090401_rodi_festival-giornalism_028Il vicedirettore del Tg1, Davide Sassoli, ha accettato l’invito del Festival internazionale del giornalismo, e dopo il suo intervento si concede al nostro taccuino

La deontologia del giornalismo, ovvero: il giornalismo è davvero al servizio dei cittadini? 
“Potrebbe esserlo, è uno strumento di crescita dell’opinione pubblica, anzi, è lo strumento moderno per la formazione dell’opinione pubblica e quindi ha questa vocazione di essere uno strumento al servizio dei cittadini. Questo non vuol dire essere servizio pubblico perché quelle magari sono delle regole che in un mercato poi si danno a degli strumenti particolari. La vocazione di servizio pubblico è in questo, cioè nella capacità del giornalismo di formare opinione, e in questo credo che al di là degli strumenti, i quotidiani, la televisione, internet e quant’altro, nel giornalismo ci sia forte, sia un po’ la premessa del giornalismo. D’altra parte se questo vale nella formazione dell’opinione pubblica, poi vale anche nei contenuti, cioè nel fatto che il giornalismo è servizio pubblico perché da la possibilità di conoscere anche meglio quello che avviene attorno a noi”. 

 Informazione, divulgazione e comunicazione. Come si pone il giornalismo nell’ambito di queste tre vocazioni della comunicazione in senso lato? Cioè: la comunicazione viene interpretata come il comunicare o l’essere comunicativi, la divulgazione come rendere un’informazione o divulgare un’informazione, l’informazione vuol essere una semplice informazione o una proposta di formazione? 
” Un giornalismo che non divulga non è un giornalismo. Diventa un racconto privato”. 

Da qualche decennio si parla di un giornalismo e di un’informazione pilotata.. 
“L’informazione subisce tutte le tentazioni che ci stanno attorno e che stanno intorno all’attività giornalistica: il modello d’impresa, il valore dell’economia, della politica.. però questo è diverso. Un giornalismo senza capacità di divulgazione non è giornalismo”.
 
Però da qualche decennio purtroppo, piuttosto che un giornalismo d’informazione viene fatto un giornalismo di divulgazione di quello che si vuole divulgare.. E torniamo alla valenza dell’informazione, della divulgazione e del giornalismo e della comunicazione.
“Cioè vuoi dire che nei regimi totalitari non c’è giornalismo?” 

Potrebbe essere se guardassimo all’aspetto ideologico di cos’è il totalitarismo.. 
” È un regime militare ad esempio: dove c’è la censura non c’è giornalismo.. questo?” 

Una censura che potrebbe essere a favore del regime che in quel momento governa, se governa.. o una sorta di favoritismo nei confronti di chi, dal popolo..
“E allora rientriamo nella qualità giornalistica”.
 
Ci parli della qualità del giornalismo..
“Nella qualità giornalistica le pressioni, le censure, le violazioni, fanno del giornalismo un’attività al servizio di.. ma non è detto che non sia giornalismo…” 

La cultura rende liberi..
“La cultura rende liberi, il giornalismo può rendere liberi. Non è detto che sia sempre in grado di farlo. Anzi, dove la libertà di stampa o di informazione o di parola è in qualche modo messa a rischio, generalmente parliamo di regimi che la comunicazione la sanno usare molto bene”. 

Siamo all’interno di questo bellissimo contenitore che è il Festival internazionale del giornalismo. La domanda nasce spontanea: il festival è popolato di tanti giovani che aspirano a intraprendere questa professione. Fermo restando che la situazione oggi è un po’ compressa e che bisogna sgomitare per riuscire ad acchiappare il sogno di diventare giornalisti.. Lei se fosse più giovane, oggi che cosa farebbe?
“Oltre a cambiare mestiere? Io penso che probabilmente, se devo teorizzare poco e parlare da un punto di vista personale, farei una cernita sugli strumenti vecchi e nuovi del giornalismo”. 

Userebbe di più la rete?
“I dati che ci arrivano sono tutti in quella direzione. Il giornalismo avrà sempre più bisogno di quel tipo di strumento. Tutti gli strumenti che noi abbiamo usato, sui quali ci siamo allenati, che abbiamo conosciuto, che ancora oggi usiamo, in realtà tra dieci anni saranno un’altra cosa. Saranno come le vecchie tipografie al piombo di quando io ho iniziato a fare giornalismo, che erano bellissime ma sono un pezzo di archeologia industriale”. 

Social network o blog? 
” Secondo me tutte e due. Non vorrei che sugli strumenti della rete avvenisse quello che è avvenuto per la televisione: è meglio il satellitare, il digitale, il digitale terrestre o la televisione generalista? In realtà tutte queste possibilità valgono per quello che è il contenuto dell’informazione che vuoi trasmettere. Gli strumenti non sono altro che il mezzo per trasmettere contenuti. Gutemberg è morto povero, invece ha inventato la rivoluzione. Chi ha messo contenuti nella tipografia di Gutemberg è diventato molto ricco. Perché, quando con quello strumento per cui lui è entrato nella storia ma è morto povero, qualcuno ha cominciato a tradurre la Bibbia in volgare, è diventato ricco. E le grandi tipografie del centro e nord Europa sono state talmente ricche per due-tre secoli. Cioè erano aziende importantissime. Questo per dire che è il contenuto che fa la differenza, non è lo strumento, il mezzo. Se uno non lo riempie di contenuti, la tecnologia è povera”.
 
Giornalismo. Pratica di strada o scuola di giornalismo nella formazione di un giovane giornalista? 
” Tutte e due perché in realtà, oggi, a differenza della mia generazione che si allenava, imparava stando nei giornali, in redazione, oggi gli strumenti sono più sofisticati, il mondo è diverso, le capacità di riuscire a essere interattivi sono diverse. Secondo me è bene sia l’uno che l’altro”.

Marilena Rodi

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