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Le redazioni invisibili


Sono una giornalista ma non ho mai trascorso un’intera giornata di lavoro in una redazione. E non perché io sia lavativa. Semplicemente non ne ho mai avuto l’opportunità. Certo, direte voi, in pochi anni di esperienza non c’è nulla di strano. Io invece, ogni volta che ci penso, mi sento disorientata, confusa e anche un po’ spaventata. Come posso sapere se è il posto giusto per me – professionalmente parlando – senza averlo testato sul campo? Allora immagino le mie redazioni, dalle mille forme e dai mille significati. Così come le città raccontate da Calvino, c’è quella rimasta a metà e quella senza tetto. Quella a forma di gomitolo e di ragnatela. Quella che sta sull’acqua come una palafitta e quella staccata dal terreno, in equilibrio su tanti, piccoli, pilastri.  Tutte, però, esistono solo nella mia immaginazione. Sono redazioni invisibili. Nella realtà le cose sono molto diverse. Le mie redazioni visibili hanno la forma di una stanza qualsiasi, di un letto sfatto, di una cucina,  persino di un balcone. Nella peggiore delle ipotesi io sono in pigiama, mentre l’intervistato all’altro capo del telefono mi immagina in tailleur. Ma soprattutto sono da sola. Nessun vocio di sottofondo, nessun rimprovero per una virgola al posto sbagliato, nessun commento fuori luogo. La luce è giusta, lo spazio sufficiente, la posizione quella più comoda. Tante volte ho pensato che, sotto sotto, la mia redazione visibile non è così male.

Poi sono stata al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e ho capito che mi sbagliavo. Ho capito, in sei giorni, cosa significa vivere una redazione, o qualcosa che le assomiglia. Ho conosciuto quel momento della sera in cui gli occhi ti cominciano a pulsare ma hai ancora da chiudere un pezzo. Incroci uno sguardo che denuncia la stessa stanchezza e pensi che se ce la fanno gli altri puoi, anzi devi, farcela anche tu. Ho conosciuto l’adrenalina che sale quando sei soddisfatto di quello che hai fatto (e hai bevuto troppi caffè). La gioia che ti invade quando l’approvazione non viene più soltanto dalla tua testa ma anche dal sorriso di qualcun altro che ne sa più di te. Ho sperimentato la diversità dei pensieri, degli stili. Di vita e di scrittura. Di questa incredibile ricchezza, visibile e non soltanto immaginata, devo rendere grazie all’Ijf. Perché ora so che più dei manuali e dei corsi universitari, più dei consigli delle grandi firme del giornalismo italiano ed internazionale, quello che mi serve è il sostegno di chi è seduto affianco a me. Di tutti quei giovani che, come me, pur sentendosi dire dieci volte al giorno che nel giornalismo non c’è futuro, continuano a fare la loro parte. Calvino scriveva: “Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone“. Ho deciso. La mia nuova redazione invisibile sono loro.

Silvia Aurino
@SilviaAurino

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