Intervista a Eric Jozsef: Europa, il nostro destino
“Dovremmo occuparci di Europa come ci occupiamo di politica nazionale anzi, anche più di questa, se possibile.”
A margine del workshop che si è occupato dell’indebolimento del rapporto tra l’Europa e i suoi cittadini, il giornalista di Libération Eric Jozsef, riflette sulla carenza di copertura mediatica. I giornalisti sembrano non comprendere l’importanza di raccontare l’Europa e quando lo fanno, lo fanno male.
“Trovo che ci sia un grave deficit di informazione. Non tanto a proposito di quello che succede al Parlamento e nelle istituzioni europee ma a livello di dibattito politico.
In Italia, ad esempio, si parla molto di riforma elettorale ma il vero punto è la questione elettorale a livello di legge europea. La questione non è tanto di parlare di Europa in modo sistematico, istituzionale e quasi noioso. Bisogna parlarne per far capire che è proprio il nostro destino. Questa è la posta in gioco. Se vogliamo avere ancora qualcosa da dire nel mondo, se vogliamo difendere dei modelli a livello economico, sociale, sanitario, ambientale e culturale, allora dobbiamo parlare di Europa. La difficoltà sta nel percepire esattamente cosa fa l’Europa e cosa ci costerebbe se vi rinunciassimo”.
Perché tanta difficoltà nel raccontare l’Europa?
“Perché siamo vecchi. Lo sono la classe politica e quella giornalistica che vanno molto spesso di pari passo. In termini di dibattiti sono fermi su un mondo che non esiste più, che sta scomparendo. Non si rendono conto delle trasformazioni in atto, non vedono quanto oggi ci sia bisogno di Europa e che senza questa non avremo un destino come singole nazioni europee. Abbiamo classi dirigenti ancorate al passato, che pensano che quello che è importante è quello che succede all’Eliseo in Francia, o al Parlamento in Italia.
Quando dico che siamo vecchi è in questo senso. Non dobbiamo fare un ricambio generazionale soltanto per motivi anagrafici, ma perché il mondo sta cambiando e bisogna saper dare delle risposte. Quelli che dirigono i giornali, come chi dirige il nostro paese appartengono ad un altro modo di concepire il mondo e difficilmente accettano o hanno la capacità di mettere queste tematiche sul tavolo. Sono in pochissimi ad avere questo coraggio e sono troppi quelli che non hanno la lucidità di vedere che il mondo è cambiato”.
La carenza di legittimità nei confronti dell’Europa, è dovuta anche a una cattiva comunicazione mediatica?
“Si, senz’altro è una responsabilità dei media: media che fanno male il loro dovere. Pochi giorni fa alcuni giornali italiani hanno pubblicato, insieme, un supplemento europeo, all’interno del quale c’erano dei contenuti interessanti.
Un lettore medio, però, lo prende in mano e al massimo lo sfoglia perché sembra un mattone che hanno messo a parte. Come se l’Europa fosse una cosa a parte. Non hanno capito che invece è la nostra vita quotidiana, dove si giocano le grandi questioni politiche e economiche che non possono essere ridotte a un supplemento, uno “speciale “Europa”.
L’Europa oggi influisce su ogni singola tematica. Su ogni questione, dovremmo porci, quindi, il problema di cosa fanno gli altri paesi, qual’è la loro reazione e quale risposta potrebbe dare una comunità unita. Invece rispondiamo sempre a livello nazionale, tranne in rari casi, come quando si fanno questi speciali che nessuno legge”.
Come affrontare allora il tema “Europa”, quali consigli per i giovani giornalisti?
“I giovani devono chiedersi, in quanto cittadini, che cosa vogliono per cambiare il loro mondo quotidiano, la loro vita. Devono rendersi conto che le singole nazioni non hanno la forza di rispondere a queste sfide. Allora bisogna creare una stampa che corrisponda a questi nuovi bisogni. Devono imparare a dare una risposta alle sfide del nostro tempo.
In quanto cittadini, i giornalisti dovrebbero porsi la domanda “che cos’è che mi riguarda da vicino?” e imparare a rispondere. Per farlo forse servono nuove forme di giornalismo. Per la nuova generazione che ha un altro approccio, che ha fatto l’Erasmus, che viaggia low cost, l’Europa è un ovvietà. Sono quindi i giovani che devono trovare i modi e i mezzi mediatici per rispondere a questa attesa di Europa”.
Micol Barba -@micolbarba