La questione israelo-palestinese al Festival del Giornalismo
Il 29 novembre 2012, con 138 voti favorevoli su 193, la Palestina è entrata a far parte dell’ONU come “stato osservatore”. Da allora i palestinesi hanno guadagnato, fra l’altro, la possibilità di chiedere al Tribunale Penale Internazionale di indagare su eventuali crimini commessi nel lungo conflitto israelo-palestinese.
Cosa è cambiato da quel voto? Quali sono le prospettive per il futuro? Ne hanno discusso al Festival del Giornalismo Zouhir Louassini, giornalista di Rai News, Ahmad Rafiq Awad, docente all’università Al Quds, Meron Rapoport, giornalista della tv israeliana Channel 2 e Gigi Riva, caporedattore Esteri de L’Espresso. A moderare l’incontro Alessia Schiaffini del Tg3.
“Il voto all’ONU – secondo Louassini – è troppo poco e arriva troppo tardi. Sembra quasi un tentativo di rimediare all’incapacità della comunità internazionale di risolvere il conflitto”.
Le primavere arabe, la vittoria dei Fratelli Musulmani in Egitto, l’affermarsi della Turchia come potenza regionale, la crisi siriana e il rischio balcanizzazione in quel paese hanno mutato radicalmente il contesto internazionale, con ripercussioni sulla questione mediorientale. L’unica soluzione sul tappeto sembra essere ancora quella riassunta dallo slogan “due popoli, due stati”. Oltre ai fattori internazionali, gli ostacoli restano molti: la mancanza di una leadership forte e unitaria tra i palestinesi, la questione demografica e la divisione dei territori, per citarne solo alcuni.
“Dal voto di novembre – ha spiegato Awad- la situazione in Palestina è peggiorata. I leader israeliani non vogliono ritirarsi dai territori occupati ma stanno tentando di costruire uno stato di apartheid light, per ottenere pace, maggior sicurezza e ammorbidimento della comunità internazionale”.
Gli opposti radicalismi contribuiscono a complicare la situazione. Sul versante palestinese, per Louassini, si può addirittura parlare di due stati, Gaza e Cisgiordania; in Israele, invece, secondo Riva, bisogna capire che “il sogno di uno stato grande, democratico ed ebraico, coltivato ancora da una parte della popolazione ebraica, è irrealizzabile e ostacola il processo di pace. La leadership israeliana dovrebbe capire che la creazione di due stati conviene innanzitutto a Israele, soprattutto pensando ai trend demografici delle due popolazioni”.
Concentrarsi solo sulla questione demografica, per Rapoport, “allontana la soluzione della questione, così come la volontà di separarci. Va ricercato un compromesso che permetta ai due popoli di vivere pacificamente”.
Nonostante la diverse opinioni emerse dal dibattito, su alcuni aspetti le posizioni sono simili. A cominciare dall’incapacità, da parte degli attuali leader, a risolvere il problema. Il superamento del conflitto, dunque, sembra essere ancora lontano. E se nel frattempo ci si confrontasse sulla questione dei diritti civili? Potrebbe essere il primo passo verso una normalizzazione dei rapporti tra i due popoli. Almeno su questo, tutti gli interlocutori in sala sembrano concordare.
Pietro Lombardi