La violenza di genere al Festival. Intervista a Stefania Ulivi
Sta cambiando il modo di raccontare il femminicidio. Non più delitti passionali e troppo amore ma emergenza politica e culturale. È Stefania Ulivi, autrice del blog La 27ora e del libro-denuncia Questo non è amore, a riconoscere la necessità di riflettere sulla violenza utilizzando nuove chiavi interpretative; “decostruire gli stereotipi di genere, e intervenire sul senso comune che alimenta il rapporto tra uomo e donna, è uno dei primi passi da compiere”.
Insieme alle colleghe del blog La 27ora, è autrice del libro-denuncia Questo non è amore. Quali sono state le difficoltà incontrate nella scelta di un linguaggio che si rivelasse adatto all’analisi del femminicidio?
È fondamentale ricordare come Questo non è amore sia un lavoro collettivo che nasce, a sua volta, da un precedente progetto co-gestito. Mi riferisco al blog del Corriere della Sera La 27ora, che ci ha permesso di trovare spazi narrativi per temi, altrimenti, trascurati. Si nasconde, dietro il libro, un attento lavoro di gruppo che non solo ha facilitato lo scambio di idee ma ha permesso di affinare il livello della discussione. C’è stata una lunga preparazione, anche linguistica. Ed è, questa, una novità importante. Soprattutto nei grandi giornali, dove la necessità di tempi veloci non permette un prolungato lavoro di approfondimento. Da lettrici, ci eravamo accorte di come i grandi media, nel parlare di violenza, nascondessero sempre un sottotesto, un alibi tale da occultare la reale natura del problema impedendone, così, la comprensione. La preparazione ci ha aiutato a scrivere una narrazione che consentisse alle lettrici di riconoscersi nelle parole scelte. Per esempio, nei riguardi dei centri antiviolenza e delle loro operatrici, abbiamo scoperto un mondo più vitale di quello solitamente rappresentato dai media.
Non riconoscersi. Oltre che nel linguaggio, è possibile che il riconoscimento non si verifichi nelle immagini proposte dai media? È, anche questa, una forma di violenza?
Senza dubbio le immagini proposte dai media hanno contribuito a diffondere determinati modelli femminili. In questo senso, il problema degli spazi da occupare è fondamentale. È necessario riempire gli spazi vuoti. Perché modelli femminili alternativi a quelli proposti dai media ci sono sempre stati ma non sono stati intercettati tempestivamente. Occorre recuperare spazio e tempo. L’elezione di Laura Boldrini è stata accolta come un cambiamento ma, di donne come lei, ce ne sono da sempre anche fuori dalla Camera.
Perché utilizzare la parola femminicidio?
La questione linguistica è molto complessa. Penso che le parole siano importanti ma ancora di più dovrebbero esserlo i contenuti. Quello che abbiamo notato è come i racconti si assomiglino tra di loro. Sebbene ogni storia rimanga una storia a sé, ci sono degli evidenti tratti comuni ; un ex-marito, un ex- compagno, un uomo che si è sentito rifiutato. La parola da utilizzare è “femminicidio”, l’unica a indicare la specificità di una donna uccisa perché donna.
È frequente che le donne vengano rappresentate come vittime, nonostante siano aumentati i casi di denuncia. Che valore può, avere a tale proposito, una mobilitazione mondiale come One Billion Rising?
Si è trattato di un episodio assolutamente positivo. Una manifestazione che ha permesso di uscire dallo stereotipo della donna-vittima, riconoscendola inveve come una donna che si libera e che reagisce. Tutto quello fa rete può aiutare ad aumentare la consapevolezza. Ed è interessante notare come la situazione stia cambiando, anche a partire dal Festival del giornalismo, che dedica così tanti spazi al tema della violenza di genere. E i modi per raccontare la violenza sessuale aumentano, basti pensare al lavoro di Riccardo Iacona ma anche alla pièce teatrale scritta da Serena Dandini. Si accrescono le forme, non in un rapporto divergente ma inclusivo.
Quali dovrebbero essere gli strumenti da utilizzare per prevenire il femminicidio?
In primo luogo, intervenire sulla cultura e sui modelli femminili proposti dai media. Decostruire gli stereotipi di genere, molto forti anche nelle giovani generazioni. Sul blog, abbiamo a che fare con un notevole carico di violenza nei commenti da parte dei lettori. Anche qui, si tratta di difendere uno spazio. A livello istituzionale, numerosi i problemi che dovrebbero essere risolti. Spesso le forze dell’ordine utilizzano un linguaggio che si rivolge alle donne indicandole come colpevoli piuttosto che come chi ha subito violenza. Lungo il lavoro da fare. È bene che si siano accese delle luci, è bene che non si spengano.
Marta Facchini