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Fact-checking digitale

Photo: Ilario D'Amato

La professione giornalistica, per deontologia, si basa sul controllo e sulla verifica dei fatti. Mai come oggi siamo in un momento in cui anche il ruolo stesso del giornalista va mutando a causa degli stimoli provenienti dallo tsunami digitale che vede emergere nuove forme di giornalismo dal basso (Twitter ne è un esempio ormai consolidato); la ricerca della verità e la verifica dei fatti appare quindi ancor più di primo rilievo. L’affidabilità e la fiducia, insieme alla credibilità, sono qualità fondamentali per il giornalista sempre più brandizzato.

È con la consapevolezza che il giornalista dell’oggi (e del domani) deve essere aggiornato circa le skills richieste nell’era digitale per quel che riguarda la verifica dei fatti, che s’inserisce, nel programma del Festival Internazionale del Giornalismo di quest’anno, il workshop Fact-checking digitale tenuto da Nicola Bruno, co-fondatore dell’agenzia giornalistica effecinque.org, e Johanna Vehkoo, giornalista finlandese, direttrice di longplay.fi.

Quest’ultima individua tre aspetti dai quali è possibile iniziare un accurato controllo: l’analisi del contesto, ossia la natura e la frequenza di pubblicazione dei contenuti, del contatto, cercare cioè di comprendere se la fonte è credibile o meno, e, infine,  del codice, ossia l’URL e quindi l’effettiva proprietà del sito web.

Come fare a distinguere una notizia vera da una falsa? Quali sono gli strumenti che il web mette a disposizione per comprendere se una foto racconta davvero di un determinato luogo o evento, oppure se è stata o no “photoshoppata”? Come conoscere il reale proprietario del dominio di un sito? Come certificare la veridicità di un tweet?

Queste sono solo alcune delle domande cui i due relatori hanno cercato di rispondere. La maggior parte di noi utilizza Google come motore di ricerca; non tutti però sanno usarlo fino in fondo. Oltre al gigante di Mountain View, infatti, ci sono altri search engines, con diverse funzionalità. Esiste Wolfram Alpha, un motore di ricerca ricco di strumenti che permette, ad esempio, di scoprire con precisione che tempo c’era due o tre anni fa in un determinato luogo del pianeta.

Molto utile è anche Domain Tools, un sito che permette di scoprire chi è il reale depositario di un determinato dominio.

La pratica del fact-checking fatica ancora a decollare. Le redazioni giornalistiche, ma anche i grandi gruppi che operano nel settore mediatico, sprovvisti di un vero e proprio reparto di fact-checkers, si affidano perciò ad agenzie esterne, come Storyful, fondata da Mark Little, esempio di perfetta convergenza tra tecnologia, giornalismo e business che annovera, tra i clienti, Youtube, Google, The New York Times, Abc, France24, The Economist Group Media Lab e altri ancora.

Come comportarsi quindi con Twitter? Bruno indica sette possibili azioni di partenza. Individuare il timestep, cioè data e ora di pubblicazione del tweet. Cercare i “cinguettii” contemporanei sia all’interno dello stesso account che nel caos del sito di microblogging. È importante comprendere l’autorità di chi ha twittato, ad esempio guardando il numero di follower. Poi è possibile procedere verso una ricerca avanzata su Google o su un altro motore di ricerca. Leggere la twitter-story dell’account potrebbe essere assai utile prestando attenzione a precedenti tweets che affrontano l’argomento. In ultima analisi, è bene provare a contattare la “persona” in questione.

Questi sono solo piccoli accorgimenti per cercare di svelare al principio futuri casi di “debenedettismo”: ricorderete, infatti, Tommaso Debenedetti, specializzato nel twittare “bufale”, per fortuna, prontamente smentite.

Danilo Sergio – @DaniloSergio2

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