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Come sopravvivono i giornalisti precari? Intervista a Ciro Pellegrino


Compensi vergognosi, accesso alla professione lungo e complesso e mercato asfittico. Sono solo alcuni dei problemi con cui si confrontano ogni giorno i precari dell’informazione, pagati pochi euro a pezzo e senza certezze sul futuro. Ne abbiamo discusso con Ciro Pellegrino, uno degli animatori del Coordinamento dei giornalisti precari della Campania. 

Come si vive, o sopravvive, da giornalista precario oggi?

C. P. Da giornalisti precari molto spesso non si sopravvive, se non svolgendo altri lavori o contando sull’aiuto dei genitori. Una delle conseguenze è che giovani colleghi, dopo aver speso tempo e denaro per la propria formazione, sono costretti a cambiare strada, scegliendo altri lavori e percorsi. Noi non cerchiamo di dare risposte ma di raccogliere testimonianze. Il grave errore di questi anni è stato considerare il giornalista come un lavoratore a parte. In realtà è un lavoratore come gli altri, con diritti e doveri. Spesso, però, ci si dimentica dei diritti, ricordando solo i doveri.

I master sono sono ormai la via d’accesso privilegiata alla professione giornalistica. Qual è la vostra posizione in merito?

C. P. Il problema è che l’accesso alla professione avviene attraverso percorsi strani e misteriosi: alcuni seguono un percorso dignitoso e duro e non sono considerati giornalisti solo perché non scrivono per testate altisonanti; altri hanno improvvisi ed altrettanto misteriosi boom. I master possono darti una possibilità di accesso ma in che modo lo fanno? Considerando il costo, i master realizzano una scrematura, basata però su fattori non solo professionali. In realtà credo che tutti dovrebbero avere la possibilità di fare quello che vogliono, o almeno essere messi in condizione di farlo. Dovrebbe essere poi il mercato a selezionare. In Italia non c’è mercato, non c’è selezione e quindi ad andare avanti sono sempre le solite persone, salvo rare eccezioni.

 I giornalisti precari hanno presentato dei propri candidati alle prossime elezioni negli ordini regionali e nazionali. Quali sono i vostri obiettivi?

 C.P. Stiamo cercando di creare un percorso di modifica all’interno dell’ordine. A chi dice di volerlo abolire noi rispondiamo che vogliamo essere i commissari liquidatori. L’ordine che muove centinaia di migliaia di euro: che fine fanno questi soldi? Cosa torna ai giornalisti? Una volta il giornalista aveva la possibilità di essere formato, oggi potrebbe farlo l’ordine, che potrebbe anche schierarsi al fianco dei colleghi che affrontano situazioni critiche, querele e richieste di risarcimento abnormi. Ci sarebbe tanto da fare.

 E’ il vostro secondo anno al Festival.
C. P. Il Festival è un posto dove ti senti a casa. Qui i giornalisti italiani hanno la possibilità di confrontarsi con i colleghi provenienti dall’estero e capire i limiti e le storture del giornalismo nostrano. L’idea di internazionalizzare il festival favorisce il confronto di culture e mondi diversi. Più che a dare lezioni e opinioni. dovremmo imparare ad ascoltare, non solo i premi pulitzer o i soloni ma i colleghi stranieri più giovani, che già dirigono giornali o fanno data journalism.

Pietro Lombardi

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