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Social tv: una nuova televisione nell’era dei social network?

Photo: Diego Figone


La dimensione social permea oramai tutti gli aspetti delle nostre vite. Anche ciò che guardiamo in televisione rimbalza in tempo reale sui social network, tant’è che, da un po’ di tempo, si sente sempre più spesso parlare di social tv.

Ma cos’è la social tv e quali sono le sue prospettive? Se n’è parlato ieri pomeriggio al Festival del Giornalismo, con Giampaolo Colletti, fondatore di altratv.tv e coautore, insieme ad Andrea Materia, del libro “Social TV: guida alla nuova TV nell’era di Facebook e Twitter“, Gianluca Visalli, responsabile new media per LA7, Roberta Enni, vice direttore di Rai1 e Davide Brunetti di Fox Channels Italy.

<<Potremmo definire social tv tutto quello che implica interazione tra più schermi in tempo reale. E non è detto che lo schermo principale sia la televisone>> ha spiegato Materia. <<E’ una forma di coinvolgimento del pubblico che si può svolgere in svariate forme: tra tv e social o anche direttamente tra piattaforme come youtube e social network. Ciò che è fondamentale è che ci siano le caratteristiche dello strumento audiovisivo e l’interazione tipica dei social media>>.  Proprio quest’ultimo è il punto fondamentale: attraverso il coinvolgimento l’utente diventa user attivo dei contenuti. Da semplice fruitore ad attore dell’intrattenimento in senso lato.

Ciò che risulta ancora difficile, però, è la misurazione dell’efficacia di una social tv, non esistendo ancora metriche condivise che riescano a dare un reale monitoraggio degli utenti attivi. Tutto questo, ovviamente, incide sulle prospettive del fenomeno social tv. <<Il mercato televisivo si fonda su convenzioni riconosciute e condivise da tutti. Questo consente di direzionare e quantificare gli investimenti pubblicitari>>. Nelle social tv e nell’audiovisivo via internet non esistono ancora metriche sicure. Di conseguenza la pubblicità, che invece va dove ci sono numeri certi, non si sta ancora interessando al fenomeno. Niente dati, niente soldi.

Negli ultimi tempi in Italia qualcosa si sta muovendo riguardo al problema del monitoraggio del coinvolgimento dell’utenza, con il sorgere di nuovi soggetti ed enti dedicati a quest’attività. Il grosso problema di fondo è, però, che ad oggi il monitoraggio si basa principalmente su twitter – nel quale i post sono tendenzialmente tutti pubblici- lasciando fuori gran parte dell’utenza di facebook – di gran lunga più diffuso del social del cinguettio – e, soprattutto, le esperienze mobile, come invece accade in Inghilterra.

Ma questo non è l’unico punto sul quale l’Italia è indietro rispetto ai paesi anglosassoni sul tema social tv. Sono i palinsesti e le reti stesse a non essere pronte all’interazione degli utenti. Basti pensare alle grandi fiction italiane che registrano grandissimi ascolti ma non riescono a sfruttare il coinvolgimento dei telespettatori come fanno le serie americane. I programmi che registrano il maggior livello di interazione rimangono infatti, in Italia, i grani eventi nazional popolari – come Sanremo – o i talk di approfondimento politico.

Un esempio virtuoso di implicazioni social dei palinsesti tv è quello di La7, rete che registra il più alto grado di interazione degli utenti con i programmi Servizio Pubblico e Piazza Pulita . <<Da un certo punto di vista siamo favoriti dai contenuti e dal clima sociale di questi tempi: le nostre trasmissioni godono del grande desiderio di partecipazione al dibattito politico che aleggia>>, ha detto Visalli di La7 <<Questo risultato, però, non è spontaneo, ma è frutto di un grande lavoro di dialogo e interazione con i social network>>. Il cammino di La7 nella social tv è iniziato più di quattro anni fa, partendo dall’utilizzo del sito del canale come allargamento della fruizione dei contenuti del contenuto del programma, proseguendo, poi, con lo sviluppo sempre più spiccato di una coscienza social. <<Piazza Pulita è stato probabilmente la prima trasmissione a portare twitter in onda, consentendo ai telespettatori, ad esempio, di scegliere gli argomenti più interessanti o di votare la domanda da rivolgere all’ospite tra tutte quelle inviate tramite i social network>>, ha aggiunto Visalli.

Ma se la partecipazione è tanta e apprezzata, perchè ancora c’è resistenza da parte dei canali tv a questo fenomeno? <<Le televisioni, da un certo punto di vista, hanno un certo timore della social tv. Il fatto che le persone parlassero della tv e di quello che trasmetteva è un fenomeno che è sempre esistito. Prima era nei bar, adesso è pubblico. >> Ed è proprio questa nuova dimensione pubblica che, secondo Visalli, obbliga la tv ad essere presente e quindi a far fronte a due problemi: trovare le risorse per far fronte ai milioni di utenti che vogliono interagire e dover prendere posizione, rispondere alle varie istanze che arrivano.

Dire che la tv è diventata social, quindi, è sbagliato. La televisione è sempre stata social. Lo era quando si discuteva davanti lo schermo con i familiari, lo è adesso twittando la propria opinione sulle trasmissioni. A differenza del cinema, infatti, davanti alla tv viene naturale parlare, interagire.  Ciò che è cambiato è che, adesso, la tv è chiamata ad ascoltare.

Claudia Torrisi

 

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