Il metodo professionale del giornalismo investigativo
“Il giornalismo investigativo consiste nella capacità di acquisire un fatto” questo è quanto Carlo Bonini La Repubblica afferma in apertura del workshop “Giornalismo investigativo” svoltosi presso la Sala delle Colonne durante il festival del giornalismo.
Per la seconda volta l’incontro con Lirio Abbate L’Espresso, Carlo Bonini e Emiliano Fittipaldi L’espresso ha coinvolto moltissimi giovani aspiranti giornalisti in una vera e propria lezione sul metodo professionale del giornalismo “investigativo”.
La capacità di acquisire un fatto è ancora possibile; i giornali hanno lo spazio privilegiato per difendere la specificità e l’essenzialità di questo mestiere, volto non solo al semplice riporto di fatti, ma possiede l’ambizione di ragionare su un metodo universale e professionale basato non soltanto sull’istinto.
Istinto, deduzione, abduzione, massicce dosi di queste 3 caratteristiche sono necessarie, ma bisogna associarle molto spesso alla capacità di arrendersi, di fronte ad eventuali vuoti che si possono trovare in un’indagine. Molte inchieste infatti, possono portare a non aver nessun tipo di risultato, un vicolo cieco pur formulando un’ipotesi plausibile.
Si parte da un fenomeno, un fatto, un dato statistico, scomponendone e isolandone gli elementi più significativi, si prosegue poi con la formulazione delle ipotesi e della loro verifica.
Documentarsi, verificare e lavorare con fonti aperte e chiuse per poter rivelare tutto ciò che viene nascosto. Con questo metodo molte sono state le inchieste portate avanti da Lirio Abbate e da Emiliano Fittipaldi che hanno illustrato alcuni esempi d’inchiesta sul caso “Case-Polverini” oppure Angelino Alfano.
Un metodo professionale se non altro molto rischioso poiché ha l’ambizione di scovare molti aneddoti e di contribuire allo sviluppo di un modello di giornalismo orientato all’analisi, accurata e documentata, delle dinamiche sociali e politiche.
Roberta Lulli