Scatti libici. Il fronte di Bengasi secondo il fotoreporter Alessandro Gandolfi
Tu sei stato in Libia per seguire i fatti di cui trattano i giornali di tutto il mondo. Prima di questa escalation si parlava quasi esclusivamente del discusso leader di questo paese, raramente della popolazione: vivendo a stretto contatto con loro, che impressione ti sei fatto?
Mi sono fatto l’impressione di un popolo stanco di oltre 40 anni di regime di Gheddafi. La popolazione, forte di quello che è successo prima in Tunisia poi in Egitto, ha deciso di ribellarsi a un regime illiberale, antidemocratico, che ha cercato di liberare le città con la forza.
Alle manifestazioni hanno partecipato anche molte donne e ragazze. C’è un’immagine stereotipata della condizione femminile nei paesi arabi?
La situazione della condizioni femminile nei paesi islamici la conosciamo, a volte anche per luoghi comuni sbagliati, ma effettivamente la donna ha un ruolo fondamentale. E’ vero che devono portare il velo, che non possono mostrare la propria bellezza, ma nonostante questo, ha un ruolo fondamentale, governa la casa e la famiglia: a Bengasi scendevano in piazza tanto quanto gli uomini, a protestare, a urlare la morte l’uccisione dei loro figli, dei loro mariti da parte di Gheddafi
I ribelli percepiscono la solidarietà che gli viene dal mondo arabo?
Sì, la percepiscono, sono molto grati a certi paesi piuttosto che altri, come il Qatar, tramite Al-Jazeera ma non solo, ha infatti speso molto e li sta aiutando. Meno invece la Turchia, che ha fatto meno per aiutarli e riconoscerli. La solidarietà non proviene solo paesi arabi, ma anche paesi europei: apprezzano molto Sarkozy, ad esempio.
Un aspetto di cui non si è parlato molto è la posizione delle autorità religiose libiche. Da quanto hai potuto notare, sono pro o contro Gheddafi?
I religiosi a Bengasi sono contro Gheddafi. Non ha mai avuto un buon rapporto con le autorità religiose anche perché il suo obiettivo era creare uno stato islamico socialista. Non c’è una presenza definita all’interno dei ribelli in materia religiosa, è un movimento di massa, spontaneo ma non c’è un’autorità religiosa dietro tutto questo. C’è una chiamata alle armi molto spesso in difesa delle ribellione, di questa nuova rivoluzione
Cosa ti ha lasciato dal punto di vista umano e professionale questa esperienza e conti di tornare un giorno a Misurata, ad esempio?
Sarei molto curioso di rivedere questa città, non molto bella di per sé, ma è per la gente, che, anche in situazione di guerra, quasi ti consola, ti offre qualsiasi cosa. So che i paesi arabi sono molto ospitali e il libico non fa eccezione, è molto ospitale. La cosa che mi ha colpito di più è il fatto che a Bengasi non pagavi i taxi, giravi , fermavi una macchina, ti portava e non voleva niente, perché ti diceva “Voi ci state aiutando quindi non vogliamo niente”, che ci fa tornare quasi agli anni ’50. Io quasi paragonerei i ribelli ai nostri partigiani, perché stanno lottando e sacrificando la loro vita per un ideale e per liberarsi da un dittatore.