L’altro, tra pregiudizi e luoghi comuni
E’ il nostro sguardo che, davanti a una qualsiasi situazione, decide ciò che vuole rappresentare e cosa escludere dal racconto. Abbiamo spesso una visione prevedibile del mondo: se vai in Africa, parlerai di tribù sciamani e riti vari; in Australia conoscerai i selvaggi; in India scriverai di buddismo e povertà. Sembra quasi che ci sia una strada obbligata, un percorso da cui non si può deviare. In questo reportage del mondo c’è chi ha voluto scrivere attraverso un breve filmato un’Asia poco conosciuta, una popolazione della Mongolia, 200 abitanti e circa un migliaio di renne. Nel video si vedono immagini di questa comunità investita dalla globalizzazione, intere famiglie che guardano soap operas nelle tv a schermo piatto delle loro tende in mezzo al nulla. Hanno voluto investire in turismo ecosostenibile e responsabile , in un turismo gentile, tanto che una ONG americana ha costruito case per i turisti che saltuariamente visitano queste zone così remote della taiga. Sembra che siano entrati nel mondo moderno senza snaturarsi completamente. Si ha l’idea che siano stati loro ad aprirsi al mondo, e non il contrario. Qual’è il ‘problema’, se così si può chiamare, in tutto ciò? In realtà di amarezze e delusioni ce ne sono in abbondanza. Quel popolo non riesce a vedere il giornalista come qualcuno venuto per cooperare. A loro è estraneo il concetto di cooperazione. Il turista non è colui con cui si può fare qualcosa insieme, è una sorta di merce. Da lui si aspettano qualcosa in cambio. Quando la ONG americana scopre che il ricavato del turismo è speso per organizzare vodka-parties, cerca d’indirizzare i nomadi verso acquisti ritenuti da noi più responsabili. Ma rispondono che le loro priorità sono altre e di pane, acqua, ecc.. non hanno bisogno. Aportarli ci pensano i turisti. Questi distribuiscono anche caramelle senza tenere conto ad esempio dell’impossibilità di avere cure dentistiche. Pensando di fare del bene, hanno creato non pochi problemi a un popolo con abitudini e standard di vita completamente diversi dagli occidentali. Raccontare l’altro è principalmente viverlo, condividere gli stessi spazi. Compatirlo nel senso di provare gli stessi suoi sentimenti. Tutto questo presuppone l’idea di liberarsi dalla cultura di cui si è figli, e non è mai esente da un trauma. E’ lo stesso autore a ricordarcelo: ‘Raccontare l’altro è raccontare le proprie sconfitte; mostrare le proprie debolezze. Neanche il giornalismo più nobile riesce a farlo nella maniera più imparziale possibile.’ D’altronde, è possibile raccontare a pieno una persona che ha vissuto gli orrori della guerra, la malattia, la povertà? Ci sono ferite che finchè non si provano non si possono conoscere. Perciò l’incontro è una riflessione su quello che non si è riusviti a fare!
Lucrezia Alberti Corseri