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Giornalismo e politica. Cazzullo-Cruciani contro tutti

I giornalisti, definiti esperti di comunicazione, spesso cadono nel tranello della autoreferenzialità e diventano boccone prelibato del loro stesso ideologismo. E se diventa ragionevolmente usuale riciclarsi giornalisti dopo una carriera politica, ciò non dovrebbe rappresentare la prova del nove al contrario. Il mestiere del giornalista va al di là di un impegno politico, significa fare informazione e farlo con metodo, essere oggettivi e garantire l’imparzialità della notizia. Ma è anche evidente che nel panorama attuale scopriamo una straordinaria difficoltà ad ottemperare al ruolo che ci si è dati. I giornali per vendere più copie devono “militare” ardentemente, quasi “tifare”, in breve: polarizzarsi.

Ed è questo difficile argomento tema di dibattito, nell’ultima giornata del Festival internazionale del giornalismo di Perugia, del panel discussion “Giornalismo e politica”, nel quale si confrontano Aldo Cazzullo, del Corriere della Sera, Giuseppe Cruciani, di Radio 24, e Angelo Mellone, de Il Tempo.

Cazzullo, sollecitato da Mellone moderatore, parlando di commistione con la politica, trova ormai consuetudinario che quanto enunciato sopravvenga: «Accade spesso che un giornalista diventi un politico e che un politico evolva in giornalista» e continua, a proposito della militanza dei giornali: «reggono quelli polarizzati, quelli che confortano il lettore – e incalza – non è vero che la gente non segue la politica». Sulla pluralità dell’informazione ricorda che la Rai è un servizio pubblico e tutto ciò che in Italia è pubblico è alla mercé dei partiti, e inoltre, a suo parere, mai nessuno comprerebbe la Rai-carrozzone, e tanto meno i partiti se ne priverebbero. Dunque il servizio pubblico è il portavoce della politica italiana. E in questo spaccato storico è “monopolio” di qualcuno in particolare?

Be’, questo, in fondo, lo avevamo intuito.

Cruciani però, così come stuzzica gli ascoltatori della trasmissione radiofonica La zanzara, sottolinea che il conflitto di interessi nel Belpaese non vieta al presidente del Consiglio di governare, e che la discussione non può ricondursi sempre al medesimo aspetto: «Il conflitto di interessi è un dato di fatto, ma agli italiani non importa nulla, quindi il problema non esiste più».

Va configurandosi in Sala Notari un clima di religioso silenzio, intervallato da fragorosi interventi del pubblico che non accetta di ascoltare una verità accettata con rassegnazione.

«Finché Berlusconi è il presidente del Consiglio il conflitto di interessi non sarà sanato», ribatte Cazzullo, ma inutile ricordare che la Costituzione (come emergeva dal dibattito “Politica e televisione: la lunga anomalia italiana” del giorno precedente) non ammette la vendita forzata, quindi di fatto si parla di incostituzionalità di provvedimento.

Ma Mellone, analizzando la popolarità del premier sottolinea che le televisioni gli hanno permesso di consolidarla, non di affermarla. Cazzullo, su questo punto, ribadisce che «Berlusconi vince perché intercetta il pubblico, mobilita l’elettorato quando è vittima di un attacco. Il suo declino è cominciato giovedì scorso, perché Fini non va sottovalutato».

Ma a quanto pare, stando agli ultimi aggiornamenti, è discorso chiuso anche questo.

Cruciani, infine, quando il dibattito si accende con le polemiche, racconta: «Un magistrato (Cisterna), una volta, mi ha detto: “le liste bloccate ci consentono di far entrare meno criminali”, e comunque, la legge elettorale non è la panacea di tutti i mali».

Marilena Rodi

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