Intervista a Peter Gomez
D: Fabrizio Gatti ha detto che in Italia siamo stati infettati dal virus della par condicio per cui anche quando si parla di Mafia bisogna sempre sentire entrambe le parti. Cosa ne pensi?
R: Ma è vero. Io ti ricordo che per un certo periodo c’era stata una famosa trasmissione del 2005 di Milena Gabanelli sulla Sicilia e non c’era niente di querelabile o di querelato e immediatamente allora si pretese una trasmissione di riparazione. Un anno dopo, se non sbaglio, ci si rifiutò di mandare in onda una trasmissione di Lucarelli sulle stragi perché si parlava anche della famosa trattativa e quindi, essendo in par condicio, non si poteva di queste cose… insomma, come se si dovesse parlare di Mafia e si chiamassero anche Riina e Provenzano. Non è un caso perché la Mafia è Mafia se ha rapporti con la politica altrimenti è un’altra cosa e dato che i rapporti con la politica ci sono, se vuoi parlare di Mafia devi parlare anche di politica.
D: Berlusconi ha detto che, per colpa di libri come “Gomorra”, la mafia è più famosa che potente…
R: Quello è un signore che ha detto che Vittorio Mangano e quindi Berlusconi ha detto una stronzata, semplicemente. Stava parlando non con gli elettori, ma probabilmente stava lanciando dei messaggi alle cosche. Non c’è niente di straordinario, d’altra parte il processo a Marcello Dell’Utri finirà come finirà, ma che Marcello Dell’Utri – fondatore di Forza Italia, il che non vuol dire che tutta Forza Italia fosse collusa o che chi vota Forza Italia sia colluso – avesse avuto dei rapporti con gli uomini delle cosche, anche nei periodi delle stragi, al di là di quella che sarà la sentenza, è documentalmente provato e ciascuno trae le conclusioni che vuole.
D: Borsellino, in una famosa lezione disse che è la Magistratura che deve condannare solo in presenza di prove certe…
R: Certo, sta alla Magistratura condannare solo in presenza di prove certe; noi dobbiamo esprimere giudizi di tipo politico, etico, morale, di semplice convivenza sociale… insomma, dobbiamo fare i cittadini da una parte e noi, come giornalisti, raccontare i comportamenti
D: A me sembra che si sia arrivati a una situazione in cui qualsiasi fatto diventa opinabile
R: Di solito li fanno scomparire i fatti: prima si fanno scomparire e poi si parla d’altro, la tecnica generalmente è questa, poi si spacciano per opinabili dei fatti che opinabili non sono. E’ una tecnica precisa, ma sarebbe sbagliato dire che risale al centrodestra: il potere in ogni democrazia tende a sfuggire a ogni tipo di controllo; il gioco democratico vuole appunto che questo controllo esista. Il problema si ha quando anche i mezzi d’informazione entrano a far parte di queste logiche di potere.
D: Wolfgang Achtner ha detto che, al di là di quello che poi uno dice, in questo paese se uno riesce a lavorare nel settore giornalistico, in qualche modo ha accettato ed è entrato a fare parte di questo meccanismo
R: Può darsi che valga per altri. Io l’unica regola che seguo quando faccio il giornalista sono quelle del codice penale e della deontologia professionale. Se avessi voluto stare all’interno di questo sistema non avrei fondato un giornale, insieme a un gruppo di amici, che non ha proprietari o altri che siano diversi dai nostri lettori.
D: Sempre Achtner ha detto che noi giovani, se non vogliamo buttare via la nostra vita, dobbiamo per forza andare via da questo paese, soprattutto se vogliamo fare i giornalisti. Voi che avete fondato un nuovo giornale anche con l’intento di cambiare le cose, cosa ne pensate?
R: Farsi un giro all’estero non è mai male, ma andarsene senza combattere mi sembra stupido. Negare che la battaglia sia durissima è da cretini, però insomma, soprattutto se uno è giovane vale la pena che tenti di combattere, se no siete giovani a che fare?
D: Proprio a questo proposito Achtner ha detto che anche se uno vuole combattere, deve comunque andare all’estero per imparare gli strumenti necessari
R: Infatti, un’esperienza all’estero io non la nego, però io penso che se uno impara a fare il cronista nel suo quartiere, dopo quando va in Afghanistan lo fa meglio; se impara in Afghanistan e torna a fare il cronista nel suo quartiere, non sempre ha imparato le cose come dovrebbero essere fatte. Un sacco di ragazzi che vogliono fare i giornalisti ti dicono: “io voglio fare gli esteri”… bene, è come dire: “io voglio correre in macchina e partire dalla Formula 1”. Mi sembra molto furbo insomma, anche perché poi c’è il rischio che molti finiscano per schiantarsi.
D: A proposito de “Il Fatto Quotidiano”, vi aspettavate questo successo elettorale? A cosa è dovuto secondo te?
R: E? dovuto al fatto che la gente compra i giornali o guarda i siti internet per sapere delle cose che non sa, siano esse delle notizie o delle opinioni. Noi diamo spazio alle notizie quando ce le abbiamo, quando riusciamo a torvarle e a delle opinioni che non avevano spazio. Io non sapevo se con Antonio Padellaro si sarebbe riuscito a fare un giornale da 100.000 copie piuttosto che 50.000, ma sapevo che si sarebbero fatte parecchie copie: non poteva non funzionare perché il pubblico è lo stesso che compra i libri miei, di Marco Travaglio e che veniva ad assistere ai nostri dibattiti. Certo è andata molto bene fino ad adesso, ma non è finita, non dobbiamo illuderci che sarà sempre così, le cose più complicate forse arrivano adesso.
D: Quando uno prende in mano il vostro giornale, spesso trova notizie che non si trovano da altre parti, dove invece c’è stato un aumento quasi esponenziale dell’informazione leggera. Come mai?
R: Parlare d’altro è una tecnica… quando ci sono degli spazi che vanno riempiti, semplicemente si parla d’altro. Mentana l’ha detto: i direttori di quell’azienda si sono trasformati in un comitato elettorale, non fanno più i giornalisti, punto.
D: Ultimamente il TG1 è al centro di tante polemiche per via della direzione di Minzolini: si tratta di un telegiornale che ha già avuto in passato dei direttori vicini al centrodestra, cosa è peggiorato?
R: E’ vero che col centrodestra è peggio, ma non è che la direzione di Riotta fosse una bella direzione. Certo, c’è sempre il peggio al peggio. Quello che dispiace di Minzolini è che tanti anni fa era un bravissimo giornalista, poi quando uno decide di intraprendere un certo tipo di carriera scende a dei compromessi che sono idioti.
D: Tiziana Ferrario ha affermato che le intercettazioni vanno usate con molta cautela, ma che il disegno di legge che si vuole far passare è troppo restrittivo. Te cosa ne pensi?
R: Lei ha anche ragione, non è sempre vero che le intercettazioni vadano bene così come sono: nel sistema ci sono delle regole che già adesso possono essere applicate e che magari certe volte non sono state applicate. Questa cosa non è avvenuta molto spesso, è avvenuta qualche volta ed è bene che non avvenga. Approfittando di questa cosa si sta tentando nei fatti di eliminarle, depotenziarle o altro… i problemi ci sono sempre e vanno risolti, ma non c’era bisogno di una legge di questo tipo, non serviva a niente, ma d’altra parte lo scopo della legge è evidente: aiutare una serie di criminali ed evitare degli imbarazzi alle classi dirigenti.
D: Anche perché si vogliono introdurre pesanti pene per chi pubblica atti che non sono più coperti da segreto, che sono di fatto pubblici…
R: Va be’… è una roba che tanto non starà in piedi. Noi ricorreremo… anche perché hanno questa caratteristica: le scrivono, ma non le sanno scrivere. Tanto poi andremo alla Corte e vedremo come andrà a finire.
Il loro problema è la pubblicazione: sono riusciti a eliminare ad annullare, per quanto riguarda i colletti bianchi, le sanzioni penali; la loro ultima preoccupazione è far sì che le cose non si sappiano e pensano di risolverla così.
D: Cosa pensi del fatto che appena si dà una notizia che mette in imbarazzo Berlusconi si viene additati come antiberlusconiani?
R: Io do le notizie, che siano sfavorevoli a Berlusconi o a D’Alema, poi che pensino quello che vogliono insomma. Le regole del gioco, quelle esatte, credo che siano quelle che applico io, poi se qualcuno le vuole usare in altra maniera e buttarla in politica perché ha i mezzi d’informazione e ha in mano una serie di politici che non vengono eletti, ma nominati e quindi sono persone che da certi punti di vista devono sempre qualcosa al principe di turno, va bene… è così. Non m’importa insomma.
Di Elena Fuzier Cayla