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Marcello Lippi: il comandante di una nave che cavalca le onde dell’azzurro oceano

Scorrono le immagini del trionfo, riaffiorano alla memoria le gesta della nazionale ai mondiali del 2006, e una colonna sonora da brividi sottolinea l’impresa calcistica degli azzurri; è la scenografia che accoglie l’ingresso del commissario tecnico dell’Italia Marcello Lippi al Teatro Pavone. Nell’intervista coordinata dal vicedirettore de La Gazzetta dello Sport Gianni Valenti, l’allenatore azzurro si racconta, manifestando lati del proprio carattere di cui non tutti erano a conoscenza e svelando il suo punto di vista sulle tematiche più vicine al rettangolo verde. “Sincero (anche a costo di litigare), permaloso, innamorato del calcio e del mare”. Si definisce così il Paul Newman dell’Adriatico (soprannome nato ai tempi del Cesena). Politicamente moderato, convinto antirazzista, amante della musica anni ‘60 di Mina e Celentano, Marcello Lippi parla anche del rapporto con la stampa, vero, schietto e senza rancore, “perché le persone che vanno d’accordo con tutti… fingono”, e di quello con i tifosi, riferendosi nello specifico alla piccola polemica nella gara di Parma contro Cipro, in cui il ct contestava i cori avversi alla nazionale susseguenti alla rete cipriota. Un episodio comunque isolato. Inevitabile la domanda di Valenti su Mourinho, del quale Lippi ha un giudizio positivo, visto che “è uno che ci mette la faccia, molto abile ad attirare le attenzioni su di sé; per di più tutti i suoi calciatori parlano un gran bene di lui”. A soli 50 giorni dal mondiale, spunta l’ora delle scelte e dei pronostici. L’allenatore azzurro non si sofferma sui singoli, ma preferisce rimarcare le analogie con l’Italia di Pozzo, capace di portare a casa la Coppa per due volte consecutivamente nel ’34 e ’38. La qualificazione con un turno d’anticipo, la gara con la Svizzera, e, come aggiunge provocatoriamente Valenti, calciopoli (“allora abbiamo già vinto!”, sorride Lippi), sono gli elementi che fanno da collante con il 2006 e aprono una speranza per l’Italia nella nuova avventura. Il mister rimarca la particolarità della nazionale, una squadra in cui si può giocare al massimo anche se nel proprio club si fa fatica, e analizza nello specifico preoccupazioni e vantaggi nell’imminente torneo. “Temo la gara inaugurale; il Paraguay è un’ottima formazione e la prima partita rappresenta sempre un’incognita. L’aver vinto già nel 2006, l’aver assaporato certe sensazioni, l’aver acquisito consapevolezza nei nostri mezzi e fiducia nelle qualità, possono essere l’arma in più”. Quanto a profezie e favorite, Marcello Lippi cita il Brasile e la possibilità, di cui tanto si parla, di una finale Italia – Inghilterra contro Capello, consentita sbirciando il tabellone. Riguardo poi alla carica vera e propria ricoperta, il ct sottolinea anche il ruolo psicologico che un allenatore deve avere (curioso l’aneddoto alla vigilia della semifinale con la Germania del 2006, in cui Lippi interruppe la rifinitura sentendosi spiato, e fece calare i pantaloni agli azzurri, per poi intrattenerli con un discorso, tratto da un articolo di Francesco Alberoni, nel quale si esaltava la famiglia come emblema del gruppo) e rimarca il fatto che il mister deve essere una guida che dia l’idea ai giocatori di poter vincere, perché è questo lo scopo di ognuno di loro. Una carriera brillante quella di Marcello, che, in una vita di alti e bassi, è riuscito a costruire le grandi vittorie traendo la forza necessaria dai momenti negativi. Il coach azzurro resta piuttosto vago sulla vincente della Champions League e sulla questione calciopoli bis, ricordando in un Milan – Juve 1 – 6 e nella successiva Ajax – Juve 1 – 2 le gare perfette vissute in panchina. Tre invece le partite che vorrebbe rigiocare, ossia tutte le finali di Champions League perse tra le quattro disputate. Per finire, Marcello Lippi, svela il suo giocatore, il più forte mai allenato: tale Zinedine Zidane. Sarà forse perché “in qualche modo ha contribuito” alla vittoria dell’Italia ai Mondiali?!

Federico Pastorelli

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