La forza delle parole: libertà dell’informazione per una vera democrazia
“Finché ci sarà la forza dell’informazione libera, si avrà qualche speranza di sapere davvero quello che succede nel nostro paese”. Queste le parole di Carlo Bonini, esperto giornalista investigativo di La Repubblica. Le inchieste nascono per questo; svelare alla massa, curiosa e smaniosa di far luce su aspetti poco chiari, verità che coinvolgono il nostro potere e alle quali tutti noi ci affidiamo ad occhi chiusi. Utopia? Forse. In Italia fare giornalismo d’inchiesta non è tra le cose più semplici. Richiede un dispendio di tempo e denaro rilevante e a volte, si finisce persino nei guai per aver “beccato” accordi poco leciti tra i nostri politici e la mafia. Qualora poi, filasse tutto liscio, devi avere pure fortuna che la notizia passi. In primo luogo, c’è la verifica della fonte. La buona fede di colui che svolge questo mestiere è di accertarsi che la notizia tenda alla verità dei fatti. A quel punto, una volta che il giornalista decide di indagare su questioni scottanti che possono riguardare un personaggio politico piuttosto che un dirigente aziendale, sarà il giudice a valutare il contenuto di ciò che si vuole diffondere, attestarne l’assoluta oggettività e procedere attraverso eventuali sentenze qualora sia verificato l’illecito da parte di questi personaggi. Il giornalista deve puntare, oltretutto, sull’originalità della notizia, aspetto non da sottovalutare che rende inevitabilmente più affascinante l’argomento sottoposto all’attenzione popolare.
Sono poche le testate giornalistiche che fanno delle inchieste il loro cavallo di battaglia. Questo perché, come sopra citato, a volte ci vogliono mesi e mesi per completare al meglio il progetto e non sempre l’editore è d’accordo, manifestando il proprio disappunto con eventuali tagli ai finanziamenti. Una però ce n’è. “Quello che fa l’Espresso è una cosa unica – rivela Lirio Abbate – estenuante il lavoro ma sempre preciso, perfetto nei vari step”. Spesso il giornalismo investigativo è casuale, si parte dall’intuizione del giornalista o spinti dall’impulso di una fonte, a volte addirittura è il caporedattore a chiedere che si proceda con l’indagine, per poi scoprire fatti bollenti che meritano di essere raccontati. “A rendere concreta l’idea di casualità, voglio citare l’esempio sull’inchiesta aperta nei confronti del ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta – spiega Abbate – . Proprio lui che è diventato famoso per la lotta contro i fannulloni sul posto di lavoro, inveendo contro i raccomandati per il pubblico impiego, ha commesso qualche scorrettezza. All’età di ventisei anni, ad esempio, come riportato all’interno del suo Curriculum Vitae, fece apparire sotto la voce attestati: docente ordinario. In realtà (e questo fa abbastanza sorridere) fu bocciato all’esame! “Non è il primo, non sarà l’ultimo. Bisognerebbe aprire indagini su quasi tutti i personaggi politici per farsi davvero grasse risate…forse.”
In un paese nel quale ci sono ben tre tipi di mafie importanti che come humus si insediano ovunque, cercando e spesso trovando alleati per attuare i propri viscidi propositi volti al controllo sociale, è folle che il giornalismo investigativo sia sporadico e non quotidiano.
Sara Vicarelli