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La notizia può morire in guerra

È con l’esperienza sul campo di Gianluca Ales, sky tg 24, Oliviero Bergamini, tg3 e il generale B. Massimo Fogari che il Festival approfondisce il tema del Giornalismo di guerra. Nella cornice del centro servizi Galeazzo Alessi, Dario Moricone ha guidato la panel discussion cercando di capire le difficoltà nell’offrire un’informazione completa e di qualità dal fronte.
Lavorare in guerra significa riuscire a conciliare la vita nel cuore del conflitto e la necessità di reperire fonti e notizie sicure. L’embedded è un buon compromesso. Questa opportunità di vivere la guerra con i militari è stato il denominatore comune tra gli interventi degli speaker: permette infatti al giornalista di muoversi sul territorio con una discreta sicurezza a discapito di alcune libertà.
La prima conseguenza è l’impossibilità di avere una panoramica completa sullo stato del conflitto: muoversi con un unità militare rende difficili i rapporti con gli abitanti, comporta una prospettiva “di parte” e la necessità di affidarsi a degli informatori non sempre sicuri. La scelta degli stringer giusti, che consentono di allacciarsi al quotidiano del territorio dove il giornalista è inviato, diventa una priorità anche per trovare la conferma delle notizie. Il giornalista embedded può essere infatti vittima di diverse forme di manipolazione: notizie impacchettate e ultim’ora inverificabili poco prima di un collegamento sono avversità a cui i tempi dell’informazione televisiva non danno certamente una mano. Il pubblico ha individuato la carta stampata come un possibile antidoto, utile anche ad affievolire le conseguenze del news management, un insieme di tecniche politico-militari spesso usate per controllare le notizie.
«Hanno parlato solo di giornalismo embedded» ci ha detto un presente nella ventata di critica che ha seguito l’evento «Troppo soft le posizioni degli speaker». Il generale Folgari ha sostenuto che l’esercito italiano è impegnato soltanto in missioni umanitarie senza trovare alcuna opposizione. Il giudizio sull’embedded è risultato positivo unicamente sulla linea «meglio di niente» e Bergamini è l’unico ad aver accennato con un po’ di decisione alla censura. «Mi ha lasciato stupita la linea comune sulla positività dei buoni rapporti tra stampa e militari» spiega una giovane volontaria «siamo sicuri che questo garantisca un’informazione libera?»
Pierpaolo Lagani e Stefano Porciello

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