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Gianni Mura: la qualità di una macchina da scrivere nell’era tecnologica

Pregi e difetti, problematiche e soluzioni, segreti e rivelazioni; si è parlato di tutto e di più sul giornalismo di oggi e quello di ieri con Gianni Mura, firma di spicco de “La Repubblica”, intervenuto al Teatro Pavone per svelare ai giovani aspiranti, ed ai curiosi assiepati in platea, i trucchi del mestiere e focalizzare l’attenzione sulle cause che stanno portando il giornalismo, quello vero, “di carta stampata”, come lo chiama Mura, ad attraversare una fase piuttosto delicata. Nell’intervista di Giuseppe Smorto emergono spunti tanto variegati quanto avvincenti. Si parte dalla lunghezza degli articoli, un “tema affascinante”, secondo Mura cui va stretta la rubrica. Il giornalista evidenzia come in particolari situazioni sarebbe opportuna una flessibilità delle righe in base anche all’importanza dei fatti (“è’ come se uno che può fare i 400 sia costretto a fare i 100”), per poi arrivare al concetto di restiling, ossia il gonfiaggio dei titoli e delle foto per ridurre i pezzi, da lui profondamente disprezzato. Sempre per rimanere sul tecnico Mura cita i grafici, che ormai “comandano i giornali”, mentre “una volta ci si metteva d’accordo”. A livello più generale, invece, l’ospite si mostra cautamente ottimista, individuando “il problema del giornalismo nell’aver rinunciato a qualsiasi forma di critica”, ed a tal proposito emerge la distinzione tra il giornalismo “di pancia” più legato alla tecnologia ed alla televisione, e quello “di testa”, che trova la sua massima esplicazione nella carta stampata, la cui qualità è decisamente superiore. Qualche esempio di buon giornalismo, “il Giorno”, il più innovativo del dopoguerra, qualche complimento per il suo “La Repubblica”, che gli lascia sempre grande spazio e autonomia, pur senza risparmiare piccole critiche ai nuovi format che stanno nascendo, grazie allo sviluppo tecnologico. Mura a riguardo, dimostra di essere assolutamente contrario; la sua è una macchina da scrivere di qualità. Una qualità, il cui standard si sta abbassando. Qui, come per altro in altre fasi dell’intervista, Mura pone l’esempio di Gianni Brera, “stella polare” e grande guida per lui: “Quando si leggeva Brera, si doveva salire di due scalini; ora invece, si scende di due gradini, e si finisce per l’identificarsi con i tifosi”. Manca il distacco, l’imparzialità, l’obiettività. Mura però, rinnega i nuovi format tecnologici, e propone le sue idee. Prima di tutto “il giornale si chiama giornale perché è un giornale”, alludendo al fatto che debba rimanere quello di carta stampata e basta; poi ci vorrebbe, idea questa ripresa da Cesare Zavattini, un giornale con interventi sulla politica limitati, che “non affronti temi troppo vicini al palazzo e troppo lontani dalla strada”. Qualche consiglio Mura lo dispensa anche agli aspiranti giornalisti, suggerendogli di “leggere molto gli altri”, perché il confronto aiuta a crescere, e di “avere punti di riferimento”, cioè tifare per i colleghi e non per la squadra. Ironico, forse un po’ cinico, ma quanto mai realista, Mura mette poi tutti in guardia: “Un buon giornalista deve saper ascoltare e scrivere; e se sei un bravo giornalista ma non sei raccomandato, non vai da nessuna parte lo stesso”. Nel frattempo, il giornalista si prepara ad affrontare una nuova sfida; Gianni infatti condurrà il “Processo alla tappa” per la Rai, seguendo da vicino il Giro d’Italia, e appassionando, con i suoi racconti, tutti gli amanti del ciclismo.

Federico Pastorelli

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