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Lo sport come perfetta metafora di un’Italia ormai in rovina

– Il calcio, lo specchio del paese: è lo slogan che ha accompagnato la conferenza tenutasi nel Centro Servizi Alessi, che aveva per argomento le pagine sportive ed il racconto di una generazione. All’incontro, organizzato da Zai.net e coordinato da Matteo Marchetti e Luca Sappino, sono intervenuti personaggi di spicco quali il giornalista e scrittore Oliviero Beha, lo scrittore Giovanni Francesio, il direttore del Guerin Sportivo Matteo Marani e Gianni Perrelli, giornalista de l’Espresso. Numerose ed affascinanti le discussioni intavolate, che hanno posto all’attenzione del nutrito pubblico casi irrisolti e argomenti scottanti; punti di riferimento sportivi che aiutano a delineare le difficoltà che ha l’Italia in questo momento anche negli altri settori, da quello politico, a quello economico e finanziario. Elementi come crisi, violenza, immobilità, scandali e debiti fungono da collante tra il calcio ed il Paese. E così il calcio diventa “metafora del Paese”, nell’accezione di Perrelli, o addirittura “anticipa quello che poi accadrà a livello globale”, come sottolinea Marani. Piuttosto critico a riguardo Oliviero Beha, che racconta che parlare di calcio per lui sarebbe come per “Armani descrivere un calzino” e che evidenzia come lo sport sia “l’emblema di una nazione in rovina”. Beha riprende anche una frase di Berlusconi, che riferendosi ai giornalisti presenti a Milanello disse: “I giornalisti dovrebbero adorare la propria squadra”, per rendere l’idea di quello che la stampa tout court sta diventando. Un giornalismo che “tifa”, schierandosi e perdendo di vista l’obiettivo principale del raccontare la verità. La crisi del calcio, e dello sport in generale, si manifesta sotto vari aspetti. Marani evidenzia come oggi “non ci sia più l’evento popolare” soffermandosi anche su un episodio particolare, la semifinale dei mondiali del 38 in cui l’Italia scese in campo con la maglia nera, simbolo del connubio col fascismo. E’ l’era del tarocco, degli scandali, degli scoop. Il caso doping, subito dopo i mondiali di Francia del ’98, con Zeman che in un’intervista a Perrelli (“lo scoop non si costruisce, negli scoop ci si inciampa”), fece i nomi di Del Piero e Vialli; quello di calciopoli, del quale Beha sembra tutt’altro che sorpreso: “Già nel mio libro uscito nel 2006 scrissi di calciopoli bis, ma nessuno l’ha mai detto”. Argomenti scottanti, in cui non si arriva mai a conoscere l’esatta verità. La motivazione? “L’omertà mafiosa della stampa”, per dirla con le parole di Beha. Giustizia inesistente anche nelle questioni più gravi, come sottolinea Francesio, che nel suo libro sugli ultras descrive “l’effetto acquario”, ossia la possibilità per i tifosi di dire la loro, di esprimere le proprie ragioni. Francesio pone a confronto i casi “Raciti” e “Spaccarotella” risaltando il fatto che “i due ultras coinvolti hanno preso più anni del poliziotto”. Con il mondiale ormai alle porte, non poteva che emergere il presunto caso Camerun, dell’82. “Una scomoda verità, rischia di distruggerti la carriera, o peggio, la vita. A me è andata bene” sorride Beha. Il futuro è tutt’altro che roseo, basti pensare agli europei del 2016, che “non verranno assegnati all’Italia. Tutti lo sanno, ma cercano di tenere viva la candidatura per far passare la legge sugli stadi”. Una crisi d’identità, d’appartenenza; così la definisce Oliviero Beha. La rovina inevitabile di “un Paese che vuole raccogliere, senza aver mai seminato”.

Federico Pastorelli

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