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NEGRI, FROCI, GIUDERI &CO. Uno spettacolo di Giannanotonio Stella sulla paura dell’altro.

Una equipe fantastica di 6 musicisti posizionati in maniera orizzontale senza troppe pretese nel palco del Teatro Pavone; è così con uno stile sobrio e con poca ricerca di presa scenica che inizia lo spettacolo scritto e interpretato da Giannantonio Stella. Lo scalpore, quello vero, lo faranno le immagini che via via nel corso dello spettacolo si susseguiranno proiettate sullo schermo.

Il clima è da subito popolare,legato agli stornelli e alle canzoncelle di campagna che tutti noi abbiamo avuto modo di ascoltare almeno una volta dalle nostre nonne, e la musica accompagnerà sempre la vena di critica sottile e penetrante che in un crescendo partendo dagli albori della cultura arriverà ai giorni nostri.

Giannantonio, con il suo plico di carta comincia subito la sua rassegna e con arguta intelligenza lo fa partendo dai Greci, nostri progenitori culturali in tutto, l’incipit di ogni argomento di studio, la base per ogni arte e così anche per il razzismo. I greci infatti sono i primi che coniarono la concezione per cui la distanza di un popolo dalla propria terra è sinonimo di disistima. Il processo di denigrazione dei “confini della terra” in cui viveva l’ALTRO soltanto immaginabile e oscuro  arriva ad un punto paradossale quando Marco Polo raggiunge davvero gli allora considerati confini  e per essere creduto sul viaggio che ha condotto racconta il suo incontro con i Cinocefali, come se questi esseri mostruosi fossero realmente la prova del suo viaggio.

Ci viene da ridere oggi pensando che una intera popolazione potesse credere all’esistenza di uomini senza il corpo, senza il volto, diversi radicalmente da noi, eppure come Stella ripete più volte, lo spazio tra ridicolo e sterminio è leggerissimo, talvolta impercettibile.

Ridicolo è Esopo che in una sua Favola: l’Etiope, racconta di uno schiavo nero, ma “così nero che evidentemente non era mai stato lavato dal suo padrone precedente” e, il ridicolo cresce ancor più se pensiamo che Esopo stesso fosse di carnagione nera. Ma ecco qua che il ridicolo arriva alla degenerazione,allo sterminio, all’esclusione, tanto che Goya nel rappresentare il celebre scrittore lo dipinge in maniera tale che la carnagione scura possa essere vista come un effetto della luce che lo illumina. Perchè? Semplice perchè dimostrare che Esopo che fa parte della cultura comune fosse nero è una riabilitazione troppo importante per un popolo che  è stato massacrato da anni.

Il razzismo però non è così lontano, l'”apatheid” è abbastanza recente, anche se ormai si vive un processo di rimozionismo, si cerca di far dimenticare una piaga della nostra società. Eppure non tutti sono daccordo! Gentilini, sindaco di Treviso, l’anno scorso alla manifestazione di Venezia diceva di voler uccidere tutti i bambini degli zingari e degli immigrati. Roba da pazzi.

Eppure un motivo sociale deve esserci; qualche settimana fa sul Corriere della Sera, Stella ricordava la seguente affermazione di Fischer: “Ci servivano braccia, ci hanno mandato uomini” credo che la frase sia emblematica per aprire un dibattito sull’ossessione dell’altro che pervade l’Italia, la paura che ha generato ostilità in un popolo di emigrati ai quali non vogliamo riconoscere diritti, ma che pretendiamo di limitarci a sfruttare. Perchè l’altro, in questo caso il lavoratore immigrato non può essere una risorsa sociale? Lo vogliamo relegare ad un ruolo prettamente economico, facendo oblio sul suo contributo anche in termini umani. Pochissimi italiani sanno infatti che l’uscita se vogliamo a testa alta, o più sinceramente con la “coda tra le gambe” dell’Italia dalla crisi finanziaria è stata resa possibile anche, soprattutto dagli emmigrati che sono tra i  pochi lavoratori che versano i loro contributi all’INPS, soldi che sono serviti per pagare le nostre casse integrazioni, contributi di cui non potranno godere non essendo possibile il trasferimento tra paesi dei fondi pensionistici.

Ma tralasciando questo aspetto prettamente economico, vediamo il contributo sociale, ragazzi provenienti da tanti paesi pronti a dare un forte contributo per il progresso della nostra nazione vengono messi alla porta soltanto per il loro accento stranieri, vengono visti come i fannulloni che vogliono  portare via il lavoro ai cari bamboccioni sempre difesi da mamma e papà pronti a cercargli una spintarella qua e la. Eccolo qua il ridicolo, di una società che per paura di confrontarsi si spaventa davanti l’altro e lo elimina, nel vero senso della parola. Un Paese, il nostro, mediocre che come tutti i mediocri ha paura del confronto, che non vuole la competizione che si chiude nel suo guscio e denigra l’altro, senza nemmeno prendersi cura di conoscerlo.

Mi piace concludere con un frase di Moravia che citava lo stesso Stella: Il lupo è diverso dagli altri lupi e ciò è poca cosa, ma la diversità dall’agnello è un altro tipo di diversità. Ecco fin quando vedremo nell’altro, un’altra diversità non saremo in grado di confrontarci e finiremo sempre per sprofondare in apartheid di diversità, in cui l’io è il metro di giudizio di tutto e il contributo al niente.

Elena Cruciani

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