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Reportage dal “dietro le quinte del reportage”

Alfredo Macchi ci accoglie con semplicità, un saluto quasi imbarazzato di fronte alla platea di un centinaio di persone che affolla la Sala dei Notari nel centro di Perugia. È il primo giorno del Festival del Giornalismo, altri come me hanno il richiamo del sogno di tanti “aspiranti”: il reportage.

E così ecco in cattedra un giornalista che ce l’ha fatta, che ha cominciato come noi e oggi lavora per Mediaset, ed è autore del reportage vincitore del Premio Ilaria Alpi 2009.

Il reportage non è un documentario, perché è più partecipato, meno asettico, ma non è neanche solo una storia, perché ha l’ambizione di informare riguardo ad una realtà oggettiva. Ma soprattutto, il reportage è una testimonianza diretta.

Siamo qui a Perugia per imparare qualcosa sul lavoro, spesso lungo e difficile, che sta dietro ogni reportage giornalistico, da quello fotografico a quello scritto a quello televisivo. In particolare, Alfredo si sofferma sulla produzione audiovisiva, il suo settore.

Parte da lontano: ci parla del primo reporter della storia, Erodoto, e di come Ryszard Kapuściński abbia ripreso la sua opera per raccontare la propria esperienza. È una storia nobile, quella del reportage, costruita attraverso le strade accidentate che bisogna percorrere per raccontare la realtà, suggerire una lettura dei fatti lasciando al pubblico la possibilità di darne mille altre. Imparare ad essere chiari, semplici e diretti, è la prima regola che ci insegna Macchi. Il che vuol dire rinunciare ai vezzi tipici di chi vuol fare il giornalista per esibire una prosa raffinata, o la propria arte registica. Significa lavorare fino a conoscere il tema talmente bene da poterlo spiegare alla mamma, ma anche alla nonna.

La lezione di Macchi verte sui temi canonici della tecnica giornalistica: il percorso narrativo, la forza delle immagini, il ritmo che renda il tutto coinvolgente, e la musica, che “si usa per accompagnare le immagini nel momento in cui si vuole far pensare”.

Molti dei volontari del Festival (che rappresentano la maggioranza del pubblico in sala) già conoscono queste regole, eppure Macchi nel raccontarcele ci insegna anche qualcos’altro: la fantasia che occorre per cavarsela anche una situazione difficile, per esempio in una zona conflittuale, la sensibilità che serve per comunicare in modo rispettoso con quanti incontriamo sul nostro cammino, la meraviglia e l’amore per i luoghi che visitiamo, la partecipazione per i fatti di cui si racconta.

É di questa materia che sono fatti i nostri sogni, e all’uscita dalla Sala dei Notari ognuno dei miei compagni ha un taccuino pieno di appunti e una nuova idea da realizzare, un segreto in cui ficcare il naso, nuove strade da battere. Molti di questi progetti non si realizzeranno mai, ma chissà.

In fondo, anche Alfredo ha cominciato così.

Lou Del Bello

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