Seymur Hersh: il vaccino della stampa americana
Ha scelto proprio il Festival Internazionale del Giornalismo per il suo primo intervento in Italia. Seymour Hersh, uno dei più grandi giornalisti investigativi del panorama mondiale, ha tenuto questa mattina al Teatro Pavone la Lectio Magistralis dal titolo: “Bush, l’attacco alla Costituzione americana, la complicità dei media”.
Firma di punta del prestigioso settimanale The New Yorker, dove si occupa di temi geopolitici, di sicurezza e militari, nel 1970 Hersh è stato insignito del Premio Pulitzer per l’inchiesta sul massacro di My Lai durante la guerra del Vietnam (1969).
E da allora ha continuato ad onorare questo mestiere, come ha ricordato, introducendolo, il direttore dell’Ansa, Giampiero Gramaglia.
Esempio di un giornalismo quasi estinto, non allineato, una sorta di “correttivo” della stampa americana, come lui stesso si è definito, Seymour Hersh è stato tra i primi a denunciare quanto stava accadendo nel carcere di Abu Ghraib, in Iraq, e a gettare una luce su ciò che il governo americano stava pianificando in Iran, contribuendo, probabilmente, a spegnere un ulteriore fuoco di tensione internazionale.
“Chiunque sia il Presidente, l’unica stampa che il potere ama è quella che può usare”. Partendo da questa citazione, il giornalista americano ha sviluppato la sua riflessione sul rapporto tra media e politica, su come, in America, si estrinseca tale rapporto, non risparmiando critiche nei confronti di una certa stampa che, dall’11 settembre, sembra aver smarrito il suo senso critico nei confronti dell’Amministrazione.
Un senso critico che in Hersh si intreccia con un senso morale, una necessità di onestà nei confronti del lettore, che lo porta a denunciare quella che lui definisce “l’impresa criminale” realizzata da Bush e Cheney, “l’omicidio di massa” dell’esercito americano in Vietnam, la disastrosa gestione del pantano afghano, che sembra, a suo avviso, dover continuare anche con l’amministrazione Obama.
E poi la guerra. Filo conduttore di tutta la sua vita professionale. E il racconto delle testimonianze dei giovani soldati americani, arruolati per necessità, spesso per sfuggire ad una vita senza prospettive, a cui però la brutalità della guerra ha tolto ogni prospettiva di vita.
Perché, come ha concluso Hersh, “la guerra è sempre brutale, è sempre omicida, nessun popolo la fa meglio di un altro”.
Maria Stella Narciso