Fast or slow journalism?
“Verba volant, scripta manent”, diceva Caio Tito. Ma non poteva sapere che, molti secoli dopo, i confini tra oralità e scrittura si sarebbero a tal punto rarefatti da rendere anacronistica la sua massima. Ciò che è scritto non è, per forza di cose, destinato a restare, così come una più alta considerazione della comunicazione orale ha preso il sopravvento. Quando si parla di giornalismo, la questione diventa più spinosa. Perché se un tempo i verba rimanevano impressi nell’inchiostro della carta stampata, oggi i contenuti appaiono in maniera frenetica nelle impaginazioni dinamiche dei quotidiani online. Che si tratti di articoli dettagliati, o ancor più di breaking news, la sensazione è quella della rapidità. Per qualcuno necessaria, per qualcun altro eccessiva.
Nasce da qui uno dei dibattiti più interessanti di questa edizione dell’International Journalism Festival, ruotato intorno a una delle questioni centrali del giornalismo che cambia. Fast or slow journalism, questo è il problema. Se si accetta che velocità non è sinonimo di trascuratezza e lentezza non è il contrario di modernità, resta da capire come i new media possono tenere il passo dei tempi, senza perdere qualità e precisione. Andrea Ferrazzi, fondatore di Slow Communication, si è detto convinto della necessità «di rallentare la comunicazione perché troppa informazione non può che condurre ad una sotto informazione. Dai media di massa siamo passati ad una massa di media senza freni».
Più diplomatica la posizione di Serena Danna, giornalista del Corriere della Sera specializzata in nuove tecnologie. «Ciò che succede sul web non è più distinguibile da quello che accade nella vita reale. Per questo bisogna cercare di miscelare la rapidità delle breaking news alla precisione di approfondimenti e reportages. Esperienze come Buzzfeed ci dimostrano che ciò è possibile». L’accuratezza, però, non è l’unico nodo al pettine. Si parla ad esempio di un grande archivio digitale in cui conservare quei contenuti web che altrimenti andrebbero perduti, ma ad oggi niente del genere è stato fatto. «O ancora la questione del diritto all’oblio – ha ricordato Andrea Iannuzzi, direttore AGL – rispetto alla quale solo Google ha avviato una prima forma di testamento digitale».
La rete, insomma, potrebbe portare tanto problemi quanto vantaggi. A meno che non si accetti l’idea che, come il web è una maniera diversa, ma non opposta, di intendere la socialità, così il giornalismo web è solo un modo diverso, ma non inferiore, di fare informazione. Più in linea con i tempi e con la fame di ognuno di noi di conoscere, senza aspettare. Perché tra il fast food e la cena di lusso, in medio stat virtus.
Silvia Aurino @SilviaAurino