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Il giornalismo di inchiesta ambientale

090401_rodi_festival-giornalism_019090401_rodi_festival-giornalism_018Perchè esiste un velo di silenzio sul tema dell’ecomafia? Quanto conviene che una donna in coma irreversibile venga mantenuta in vita? Perchè il nucleare è tornato alla ribalta nonostante gli italiani abbiano detto un sonoro “no” tramite referendum? E quanto vale il giornale controllato da un sindaco che decide di costruire una mega acciaieria accanto ad un parco naturale? Sono solo alcune delle questioni calde affrontate questo pomeriggio all’insegna del giornalismo d’inchiesta ambientale e ai suoi protagonisti d’eccezione – una tavola rotonda di “cacciati” dai media ufficiali, come hanno voluto sarcasticamente sottolineare.

Quella del giornalismo ambientale è una questione che in passato veniva affrontata esclusivamente attraverso temi come i parchi nazionali o l’energia, mentre ora si tratta di un giornalismo a 360 gradi, che si intreccia fortemente con l’economia, la politica e la giustizia. Il seminario ha preso il via da una provocazione del giornalista del Corriere della Sera Andrea Purgatori, che ha denunciato la totale assenza del tema ambiente nell’agenda setting italiana. Esiste, infatti, un filo che lega la questione ambientale con i Poteri, che controllano l’informazione stessa e spesso sono proprio quei soggetti che si arricchiscono con l’ecomafia.

Un problema centrale anche per Peppe Ruggiero, autore del documentario Biùtiful Cauntri, che ci “rassicura” così: “i giornalisti che vanno a cercare le notizie e le portano in redazione esistono; il problema è che poi non riescono a farsele pubblicare dai propri editori”. Ha seguito la stessa linea la giornalista scientifica Silvie Coyaud, che ha spiegato come il fattore ambiente rientri a pieno titolo in ogni notizia: dalla guerra in Iraq all’aumento dei prezzi del cibo, l’informazione scientifica è qualcosa di cui non si può più fare a meno. In Italia, invece, nessuna redazione comprende giornalisti interni specializzati. Il vero grande problema secondo la Coyaud – a parte il fatto che per quanto riguarda l’informazione scientifica si vedono sempre le stesse facce, dalla Levi Montalcini a Zichichi – è la dilagante corruzione degli enti di ricerca, il nepotismo, i concorsi truccati e così via. Inoltre non c’è modo per proteggere le fonti dalle ritorsioni, e dato che sono comunque giornalisti sottopagati, cercano sempre di cavarsela con un copia-incolla per non rischiare anche quei due soldi.

Anche il direttore di Peacereporter Maso Notarianni e Carlo Vulpio del Corriere della Sera hanno criticato aspramente l’atteggiamento dei giornali, e sono stati molto pessimisti sul futuro dell’inchiesta ambientale affermando che tutto ruota attorno ad un deficit di informazione. Ma su una cosa sono tutti d’accordo: internet è la via. Il grande strumento che hanno questi “reporter dell’ambiente” per poter divulgare liberamente  un’informazione critica è il blog. In ogni caso, però, l’ingrediente numero uno per chi vuole fare questo mestiere è avere una grande passione civile, altrimenti la censura diventa autocensura e gli yes-men cercano di prevenire i desideri degli editori ancor prima che siano loro ad esprimersi.

Attraverso la rete, dove la conversazione non è più gerarchizzata come nella carta stampata, il tam tam della conoscenza si diffonde come un virus e dà la possibilità di esprimersi anche a quei giornalisti d’assalto che non scrivono sui giornale. Una bellissima frase di Ruggiero ha chiuso l’incontro: “conoscere è lottare; e c’è ancora molto per cui lottare in questo Paese”.

foto di Marilena Rodi

articolo di Valeria Gentile

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