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FattoTV: media e potere. Intervista a Marco Travaglio

Foto: Paolo Visone

In diretta dal Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia per una puntata speciale del FattoTV (tv.ilfattoquotidiano.it), Marco Travaglio è intervenuto, insieme con Peter Gomez, Lirio Abbate e Fiorenza Sarzanini, sul tema del giornalismo d’inchiesta e del rapporto tra media e potere.

Privatizzare la Rai può rappresentare la soluzione per un rilancio della Tv pubblica?
La Rai è già privatizzata: è nelle mani dei partiti che sono associazioni private. Quindi andrebbe pubblicizzata, non privatizzata. Bisogna toglierla dalle mani dei partiti e metterla in quelle degli abbonati, dei professionisti che la fanno e del pubblico che la vede. È necessario scegliere come dei bussolotti, dei modelli, uno qualsiasi: il francese, il tedesco, l’inglese. Tanto qualsiasi modello sarebbe meglio del nostro.

È d’accordo con la proposta di Grillo di avere un’unica rete pubblica senza introiti pubblicitari?
No, non mi pongo nemmeno il problema. Tutto dipende da quello che fanno di Mediaset: se facessero una legge antitrust che impedisse a un proprietario di avere tre reti più tutte quelle collaterali, digitali, satellitari eccetera, sarebbe diverso. Con una rete per ogni soggetto anche la Rai dovrebbe dimagrire, ma prima deve iniziare a dimagrire Mediaset.

In che modo Internet e i blog possono migliorare il giornalismo d’inchiesta? È favorevole al giornalismo partecipativo e, in particolare, al connubio tra giornalismo dal basso e giornalismo professionale?
Io credo che per fare i giornalisti bisogna saper fare i giornalisti, quindi è necessario avere un po’ d’esperienza e un po’ di formazione. Non è che uno che fa un altro mestiere esce la mattina col telefonino, fa un video e fa il giornalista. Il giornalismo non è quello.

Ma una collaborazione tra il giornalista e i cittadini che inviano i propri contributi la giudica positivamente?
Certo, se uno si trova sul luogo di un terremoto e non ci sono giornalisti, il suo contributo video e/o audio può essere utile. Io penso che valga sempre il vecchio detto milanese “Ofelè fa el to mesté”, cioè ciascuno deve fare il suo mestiere. Poi, se c’è qualcuno che si vuole dilettare, online è tutto libero e tutto free. Quando qualcuno paga l’informazione con il canone piuttosto che all’edicola, dev’essere sicuro che dall’altra parte ci siano professionisti in grado di  fare il proprio mestiere. La professione giornalistica è molto più difficile di quel che sembra. Quando ti danno alle cinque del pomeriggio una sentenza di mille pagine della Cassazione e tu, per le nove della sera, la devi sintetizzare in ottanta righe, ti assicuro che il giornalismo partecipativo lascia il posto a quello professionale: se non sai dove mettere le mani, il pezzo per le nove non lo consegnerai mai.

Com’è cambiata la professione giornalistica con l’avvento di Internet e del digitale?
È completamente cambiata. In meglio, perché c’è un altro luogo dove mettere le notizie che i mass media censurano. Ma è cambiata anche in peggio perché, essendo la Rete libera, c’è tutto e il contrario di tutto. Ci sono notizie e contronotizie che si elidono, notizie vere e notizie false che vengono trattate nello stesso modo. Invece, nella carta stampata o nella televisione, c’è ancora qualcuno che ci mette una firma o una faccia e che, se ha una sua credibilità, può dare forza alla notizia.

Consiglierebbe ai giovani di intraprendere questa professione oggi?
Sì, è una professione bellissima quindi consiglio di farlo.

Anche se non sono pagati?
Io, per quattro o cinque anni, sono stato pagato pochissimo. Poi hanno iniziato a pagarmi. Adesso la gavetta è ancora più lunga. Però, se uno ha voglia di cimentarsi, io consiglio di farlo perché è una professione bellissima.

 

Danilo Sergio – @DaniloSergio2
Maria Elena Tanca – @met81

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