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Social media alleati al giornalismo e alla partecipazione pubblica

Ph Mario Panico

Social Network: la morte del giornalismo? è il titolo provocatorio del convegno organizzato al Festival dalla Commisione e dal Parlamento europeo, con l’Associazione Giornalisti della Scuola di Perugia. In realtà infatti la risposta è negativa, come emerge dal dibattito moderato da Anna Piras di Rai Parlamento. Anzi, i social media possono essere anche uno stimolo alla cittadinanza partecipativa.

Dice Marco Zatterin (inviato a Bruxelles de La Stampa):  «Io sono moderatamente ottimista perché i social media fanno rivivere il giornalismo, l’informazione continuerà: sarà solo un evoluzione. Il problema semmai sono i giornali e i giornalisti, che sono regolati da dagli editori che impongono un economia quantitativa e non qualitativa. Sono preoccupato anche per i giovani giornalisti, che fanno fatica ad inserirsi nella professione e sono poco pagati. Per esempio c’è la miopia dei giornali italiani che tagliano i corrispondenti da Bruxelles considerando l’Italia più importante dell’Europa, ma questa è un’altra storia. Poi c’è la mia preoccupazione per i lettori. Bisogna cercare affidabilità che non si trova in commenti nascosti da nickname o messaggi pilotati da qualche azienda o gruppo di interesse. C’è bisogno di quella fiducia che solo il giornalista può dare e sono convinto che la stampa cartacea non morirà.»

Dice Luca De Biase (Il Sole 24 Ore):  «La grande novità di questi anni è che il pubblico ora partecipa attivamente al grande “ecosistema” dell’informazione. Tutto in progressione con l’innovazione tecnologica. Nel futuro vedo nuove piattaforme che miglioreranno ulteriormente la partecipazione civica, per esempio nella politica. In tutto ciò si può mantenere il classico metodo giornalistico anche se è necessaria un’autocritica sul mestiere.»

Dice Giorgio Mennella (di Agoravox, giornale partecipativo): «C’è un rapporto sempre più stretto tra il giornalismo classico e il nuovo giornalismo partecipativo: sono nella stessa squadra. Agoravox è nato nel 2004 sulla scia del referendum in Francia sulla Costituzione Europea per permettere lo scambio di opinioni. I social media quindi (anche se sono ancora in via di sviluppo) sono il nesso tra informazione e democrazia: possono essere uno stimolo all’interesse politico. Grazie a internet si combatte dunque la disaffezione per la politica.»

Dice Steve Clark (Responsabile dei rapporti con i cittadini e dei social media del Parlamento Europeo):  «E’ in atto una grande trasformazione nelle relazioni e più in generale nella vita democratica, anche se le conseguenze definitive sono ancora ignote. Per le elezioni europee del 2009 abbiamo deciso di dotarci di tutti i profili sui social media, ora abbiamo raggiunto i 760mila fans di Facebook: più di ogni altro parlamento al mondo. All’epoca questa fu un’intuizione in risposta alla crisi del ruolo di mediatore del giornalista (qui Zatterin dissente, ndr). Per esempio i parlamentari europei con i loro profili “social” possono dialogare direttamente con i loro elettori. Una volta abbiamo avuto un aumento di 1000 fan in un giorno su Facebook: erano utenti arabi in rivolta nel Bahrein che hanno usato il nostro spazio virtuale come luogo di comunicazione.»

Dice Raffaella De Marche (responsabile delle relazioni con la stampa e dei profili social media del presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz):  «Non esiste tweet che non passi inosservato sulla stampa così come un articolo con dichiarazioni importanti che poi non venga condiviso sui social media. I nuovi mezzi di comunicazione sono preziosi per lo scambio tra i cittadini europei, nonostante le diversità di linguaggio. Gli italiani sono i più assidui in Europa sui nostri profili (come fan, followers ecc…), forse per la disaffezione verso la politica italiana. Grazie a questo si può far girare la voce dell’europeismo  infatti la visione negativa del continente in Italia è meno diffusa.»

Dice Anguel Beremliysky (rappresentanza della Commissione Europea in Italia):  «All’inizio la Commissione era titubante sui social media, forse perché è un ente più complesso e non elettivo al contrario del Parlamento. Poi però abbiamo aperto un canale You Tube di successo con vari progetti e campagne che portiamo avanti. Solo 4 commissari europei non hanno un loro profilo  con cui possono intervenire e dibattere immediatamente. I social media sono quindi un aiuto al giornalista, ma bisogna come sempre verificare le fonti, anche perché i politici non hanno tempo di leggere tutti i feedback.»

Enrico De Col

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