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Lo aboliamo o no quest’ordine?

il tesserino del giornalista

il tesserino del giornalista

Un panel importante, almeno a giudicare dal titolo “Abolire l’Ordine?”. Presenti per discutere dell’annosa questione in sala Lippi Giancarlo Ghirra, segretario del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Alessandro Gillioli, L’Espresso, Roberto Natale, presidente FNSI, Ciro Pellegrino, giornalista freelance. A fare da contraltare, e da moderatori, Matteo Marchetti e Luca Sappino di Ribalta Radio Popolare Roma.

L’esordio mette già di buon’umore, come stare in famiglia: “grazie al precariato che affolla la sala!”. Accorso per cosa, questo popolo dei disperati, e non degli sfigati perché – spiega Pellegrino – a chiamarsi sfigati ci si porta sfiga da sé? Per sapere qualcosa. Sull’Ordine, sulla professione, sui contratti, sugli esami, sugli iter formativi, sulla riforma “minacciata” per agosto. “Ne sappiamo poco anche noi” interviene Ghirra, e che alla domanda titolo del panel sia riesca a dare una risposta, ora, diventa davvero un’illusione.

È che non si tratta tanto di liberalizzare un ordine professionale come potrebbe essere quello degli avvocati, dei medici, degli ingegneri. L’Ordine dei giornalisti è un discorso a parte, con regole e necessità sue, che purtroppo sono poco pubblicizzate e del tutto inesistenti per chi non è direttamente coinvolto nel sistema. Di tanto in tanto sono perfino così strane che gli “esterni”, quando glielo racconti, ti guardano come se tu stia complicando cose lineari. Ma tanto semplice, in effetti, la questione non è.

A monte della domanda sull’Ordine ci sono altri interrogativi: ma gli intoccabili del mestiere? Da dove nascono e perché non spariscono lasciando spazio a una galassia composita e sfigata composta per lo più da giovani aspiranti alla professione di giornalista? C’è bisogno di chiarezza e riforme. Soprattutto, però, c’è bisogno di parlare della questione economica “se un pezzo è pagato 3 euro – si domanda Pellegrino – a che ti serve il tesserino?”. Il web, i cambiamenti del panorama mediatico: sono questi i motivi determinanti di un tale quadro economico? Gillioli ha un’idea ben precisa: “se compri un pezzo a 4 euro significa che tu editore lo consideri una schifezza e lo rifili ai lettori. Se c’è speranza che la comunicazione crei un movimento che sta in piedi è solo con un’informazione di qualità che viene pagata in modo decente”.

Altro ostacolo tutto italiano sono gli editori, detentori di un potere troppo forte, che, secondo Natale, ha bisogno di essere arginato dalla presenza di un Ordine. Le promesse di Natale sono precise: “i pensionati vanno messi alla porta, serve una legge chiara sull’equo compenso, che il lavoro dei giovani venga pagato almeno come quello delle collaboratrici domestiche crediamo sia una cosa indispensabile”. Il sindacato resta deciso anche su un altro punto: si entra nella professione solamente con una via, quella dello studio, “a condizione – specifica Natale – che non ci sia un divisione di censo”. Il problema, in questo senso, emerge come mancanza in Italia di un chiaro percorso di studio di riferimento, come accade per i medici, per esempio: “ci fideremmo di chi ha una passione per la medicina senza una garanzia data dallo studio? Le passioni vanno istruite” e così, per Natale, deve avvenire con il giornalismo.

Chi certifica, chi istruisce, chi garantisce la sopravvivenza a un mestiere che vorrebbe essere una professione come tutte le altre, con le tutele e le fatiche di ogni altra specialità? Non è più tempo di scherzare, e lo si comprende dai moltissimi interventi dal pubblico, che chiede chiarezza e possibilità. Abolire l’ordine? Qualunque sia la risposta, non risolverà il problema, quello che serve è una riforma. Oppure… Cambiare mestiere.

Alessandra Chiappori

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