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Il potere in Italia: “Siamo sudditi più che cittadini”

Alessandro Campi

Luigini e contadini. è ai protagonisti del racconto di Carlo Levi, “L’orologio”, che Marco Damilano suggerisce di guardare per riuscire a districare la trama dell’intricato intreccio tra istituzioni e poteri, politica e affari privati, che ha segnato la storia politica italiana dal secondo dopoguerra. Come si è ricollocato il potere negli ultimi venti anni? Ci sono differenze tra questo finale di partita e quello che ha portato alla fine della Prima Repubblica? A queste due domande hanno cercato di rispondere in un’affollata Sala dei Notari Alessandro Campi (direttore di Rivista Politica), Marco Damilano (l’Espresso), Claudio Gatti (IlSole24Ore), Tommaso Labate e Antonella Mascali (il Fatto Quotidiano) nel corso del panel “Il potere in Italia”. Non un giorno qualsiasi per parlare di partiti, di bene pubblico e interessi particolari, di senso della cittadinanza e cura delle istituzioni: 25 aprile, come 37 anni fa, giorno della liberazione di Milano e Torino; 25 aprile, come 20 anni fa, giornata delle dimissioni dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Primo masso di quella frana che avrebbe travolto i partiti della cosiddetta Prima Repubblica e frantumato gli equilibri istituzionali fino ad allora consolidati.

Fu vero cambiamento? Fu la fine di un intero sistema di potere, crollato di schianto? O sotto una nuova cornice vecchi protagonisti hanno saputo ricucirsi addosso un abito nuovo?

Alessandro Campi è parso non avere dubbi: “Il carattere effimero della presunta rivoluzione liberale di Berlusconi ha creato un’illusione ottica. Abbiamo creduto di trovarci in un nuovo sistema politico istituzionale, con regole nuove e con nuovi protagonisti e, invece, quell’impalcatura ha mascherato una continuità sotterranea”. Nuovi contenitori usati per riposizionarsi, per restaurare l’ordito di quella rete di relazioni che sembrava smagliato, per ristabilire equilibri alterati o spezzati su quel confine vischioso tra politica e affari. “A differenza di venti anni fa – ha proseguito Calvi – oggi il potere si è polverizzato in più centri. La politica si limita a fare mediazione tra centri di potere diverse, incapace di governare i processi politici-economici, regolati da processi e ricatti reciproci. Il periodo oggi è più torbido di allora e probabilmente non ci sarà un salvatore della patria pronto a “sacrificarsi” per il bene del Paese.”

Illusione ottica di un cambiamento, dunque. Nuove maschere per vecchi interpreti, come ha osservato Marco Damilano, nel ripercorrere minuziosamente gli anni del delicato passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Il bipolarismo DC/PCI è stato l’artefatto retorico utilizzato da Berlusconi per poter permettere a chi il potere ha sempre detenuto (i luigini di Carlo Levi) di potersi ricollocare nel nuovo contesto. “Questo conflitto di carta, tra bene e male, tra libertà e comunismo, eredità del vecchio bipolarismo DC/PCI, dichiarato e urlato nelle trasmissioni televisive, ha mascherato tutto un sottobosco di negoziazioni trasversali tra affari e partiti. Le regole della politica sono state sostituite da quelle del patto di sindacato tipiche delle grandi imprese. Sotto le appartenenze ufficiali si sono annidate corporazioni trasversali, che hanno negoziato tutto in un’economia simbolica di debiti e crediti”. Gli affari hanno usato la politica e i politici hanno usato gli affari per acquisire posizioni di credito nel proprio partito. Oggi questo sistema sta esplodendo con tutti i suoi centri di potere. Resta difficile capire quale sarà il finale di partita: “l’impressione è che il potere dei luigini sia pronto a indossare nuovi abiti per potersi rigenerare”, ha concluso Damilano.

Quali, a questo punto, le strade da seguire per poter evitare il ripetersi di una storia che sembra già scritta? Rafforzare quel senso di cittadinanza e delle istituzioni di cui gli italiani sembrano difettare è stato il suggerimento di Claudio Gatti “per evitare, per fare un esempio, che un governatore come Formigoni, già condannato sette anni fa per il programma umanitario “Oil for Food”, possa essere eletto per la quinta volta”. Un’analisi critica dei dispositivi di potere, dei suoi punti di snodo, delle sue intercapedini, delle sue opacità, da parte dei giornalisti, troppo attenti, invece, a parlare degli aspetti di vita privata di personaggi pubblici “come la casa di Scajola, le vacanze e il cibo di Formigoni e il sesso di Berlusconi”, ha chiesto Tommaso Labate. Pressione dal basso e legge sul conflitto di interessi e norma anti-corruzione è stata la proposta di Antonella Mascali, scoraggiata da una classe politica impegnata a creare le condizioni per continuare a perpetuare se stessa e da una cittadinanza assuefatta e, pertanto, solidale con essa. E allora la via è fare pressione dal basso e chiedere la legge sul conflitto di interessi e norme anti-corruzione.

Tra bene pubblico e interessi privati, tra affari e politica, il punto di volta sembra risiedere nel concetto di cittadinanza. “Siamo sudditi più che cittadini – ha affermato Damilano in chiusura – Siamo un sistema che non solo non evita la palude, ma la favorisce. La politica, che non riesce a generare alternative a se stessa, i mercati senza concorrenza e che vedono protagoniste sempre le stesse dinastie, i cittadini assuefatti a quella che potremmo definire la cultura del pareggio. Né vincere né perdere, ma galleggiare. Una questione di mentalità che riguarda tutti”.

 Angelo Romano

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