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Web, PA e comunicatori; i cambiamenti difficili da digerire e le illusioni 2.0

Pubblica amministrazione, web, legge 150 e aspettative, per migliaia di giovani laureati in comunicazione e sociologia, tradite. Nella Sala Lippi E-Gov, Open Data e trasparenza sono le parole d’ordine che aprono a possibilità vecchie e nuove per l’effettivo sbocciare delle professioni della comunicazione. Digitalizzare e modernizzare le P.A. è un obiettivo che già venne fissato dalla legge 150/2000 e che aveva aperto grandi spazi per l’ingresso nel mondo del lavoro di giornalisti, addetti stampa, portavoce e comunicatori. Una comunicazione pubblica smart, fast, open, che mai si è concretizzata e che rischia di rimanere ancorata nel pantano della burocrazia e delle normative.

Tra i partecipanti al panel ci sono gli ottimisti: Ernesto Belisario e Claudio Forghieri, rispettivamente presidente e componente dell’Associazione per l’Open Government e Francesca Sensini, web content manager che si impegna ad abbattere dall’interno la diffidenza culturale che nelle PA si ha su concetti quali comunicazione e digitalizzazione. Diffidenza che, unita al notevole deficit di fiducia tra PA e cittadini, mette a rischio gli stessi innovatori costretti a fare i conti con leggi e norme talvolta contraddittorie.

Il cambiamento è sicuramente iniziato, ma il cittadino 2.0, la città attrattiva, e l’Urp degli Urp appaiono come meteore nell’infinito spazio dei fascicoli della burocrazia e del mancato sostegno della PA al cittadino e ai suoi problemi quotidiani. Di esempi pratici ce ne offre a bizzeffe il Professor Alessandro Rovinetti dell’Università di Bologna che, in quarant’anni di lavoro all’interno di una PA ne ha vista di cotte e di crude. Assunzioni clientelari, diffidenze culturali, deficit formativi e professionali cozzano inevitabilmente con i progetti comunicativi che guardano all’interazione, anche attraverso i social media, con i cittadini. “Bisogna capire che una parte della PA è formata da persone di altri tempi che stentano a capire cosa significa comunicare. Cinquant’ anni di disinteresse per le PA non si cancellano con una legge che ha illuso più di 48.000 laureati in scienze della comunicazione convinti che un giorno avrebbero trovato un posto sicuro nelle PA; c’è bisogno di più competenze e meno consulenze”.

Rovinetti spiega come il problema provenga dall’alto: “La comunicazione, digitale e non, non piace alla burocrazia nazionale e soprattutto alla politica. In alcune grandi città gli uffici stampa vengono chiusi o relegati a ruoli marginali”.

E dunque? Cosa aspettarci per il futuro o meglio per il presente? Di sicuro le tre T citate in sala  (Tecnologia, Talento e Tolleranza) rinforzano l’idea del cambiamento e lasciano qualche speranza ad almeno uno di quei 48.000 comunicatori pubblici illusi.

Fabio Marcarelli 

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