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Chi fa informazione deve essere libero

“Io non voto perché devo essere libero”: questa la dichiarazione più provocatoria contenuta all’interno del documentario La primavera di Mohamed Bouazizi di Raffaele Mesto e Stefano Vergine che documenta il gesto del giovane tunisino che si è dato fuoco davanti al Palazzo del Governo di Sidi Bouzid come protesta contro il sequestro della propria merce da parte del regime repressivo di Ben Alì.
A pronunciarla un giornalista radiofonico che, reduce da prigionia, tortura ed esilio in Belgio, ha deciso di tornare al Paese natio per investire in una radio che possa comunicare liberamente, dando una valida opportunità alle nuove generazioni.
Il tragico gesto del giovane Mohamed Bouazizi del 17 dicembre 2010, scintilla che ha dato il via al movimento tuttora in corso conosciuto come Primavera araba, è visto dalla famiglia e dai connazionali come l’eroico sacrificio di un martire che si è immolato per la libertà del proprio Paese.
“Ora Mohamed sta meglio e il suo popolo gli sarà per sempre riconoscente”, dice la mamma nell’intervista contenuta all’interno del filmato.
Difficile, per la cultura occidentale, condividere la visione poetica di un sacrificio dettato dalla frustazione, dal senso di impotenza, dal bisogno di riscatto della propria dignità.
Oggi, a quel ragazzo morto dopo un mese di agonia per le ustioni riportate, è intitolata la strada principale della sua città, gli è stato conferito (postumo) il premio Sakharov per la libertà di pensiero, oltre ad aver ricevuto il riconoscimento di personaggio dell’anno dal Times.
In tutto questo, è imparare a “pensare bene”, superando le difficoltà e le barriere che ancora dividono come invisibili muri di Berlino la vera forma di libertà di chi fa informazione.

Alessandra Pradelli

 

 

 

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