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Se un tycoon entra in politica…

Immaginate un grande impresario che, un giorno, decide di irrompere sulla scena politica. Ma non è un impresario qualunque: ha in mano alcune televisioni, è proprietario di un colosso dell’editoria. Una volta eletto, non c’è il rischio che possa manipolare l’informazione ed omologarne i contenuti? Sembra la trama di un improbabile seguito di “Qui non può accadere”, romanzo di utopia a sfondo satirico che Sinclair Lewis scrisse negli anni Trenta. E invece no, è quella che qualcuno definisce “l’anomalia italiana”, l’emblema delle pressioni del potere sulla stampa.

Il rapporto tra democrazia, politica e giornalismo è stato il tema dell’incontro di questa mattina alla Sala dei Notari, nell’ambito del secondo giorno del Festival internazionale del giornalismo: Francesco Specchia di “Libero” ha fatto da moderatore al panel a cui hanno partecipato Orazio Carabini (vicedirettore “L’Espresso”), Mario Orfeo (direttore “Il Messaggero”), Luigi Contu (direttore Ansa) e John Lloyd, direttore del Reuters Institute di Oxford e autore di un libro sul giornalismo ai tempi di Berlusconi che Feltrinelli darà alle stampe prossimamente.

L’ospite britannico ha aperto la discussione ponendo l’attenzione su tre principali tematiche che riguardano la professione giornalistica: la differenza tra divertimento ed informazione (il primo è più popolare); la diversità tra informazione ed investigazione; lo scarto tra la stampa di proprietà e quella indipendente. E dopo aver definito Berlusconi una “eccezione nel mondo democratico”, Lloyd cita un altro esempio di tycoon influente, e cioè Rupert Murdoch, magnate dell’informazione che è il simbolo del potere esercitato dai media sulla politica.

Carabini ricostruisce, brevemente, l’ascesa al potere di Berlusconi, i motivi della sua vittoria e tutto ciò che ne è conseguito: “Un esempio di antipolitica come Reagan e De Gaulle, un leader forte e affascinante che tranquillizza la popolazione perché, si presume, un imprenditore è la figura ideale per risanare i conti pubblici. Ha fondato un partito basato su strutture aziendali ed ha introdotto un nuovo linguaggio, semplice, con metafore calcistiche ed abile a convincere gli italiani che Forza Italia fosse un’alternativa all’èlite del potere che aveva governato fin dal Dopoguerra”. Prosegue poi Carabini: “Dal 2000 a oggi il Pil ha avuto una crescita pari allo zero, e la popolazione è aumentata. Insomma, ha cambiato poco o nulla in diciassette anni. Peccato che l’80% degli italiani si informi attraverso la tv…”.

Specchia e, in seconda battuta, Contu ricordano che per due volte Berlusconi fu sconfitto da Prodi. E allora, dov’è il problema? “C’è una debolezza strutturale della politica italiana, ha perso autorevolezza – dice il direttore dell’Ansa – qui da noi manca un sistema forte, il meccanismo dell’alternanza non è ancora maturato. E c’è molta incoerenza. Insomma, la Prima Repubblica è finita con Tangentopoli ma ancora stiamo attraversando la terra di mezzo. Va però detto che l’irruzione di Berlusconi è stato un vero e proprio tsunami”. A proposito di incoerenza: Mario Orfeo denuncia quella del giornalismo italiano, oggi in una fase “rissosa ed estremizzata” e bravo a “raccontare i risultati di un’inchiesta ma non a cercare e a portare notizie”. E suggerisce che la soluzione della Rai sarà la privatizzazione, perché il cda di viale Mazzini altro non è che un “parlamentino dove i partiti politici esercitano pressioni”.

“Qui non può accadere”, diceva dunque Sinclair Lewis. Nei suoi Stati Uniti no, forse. Ma in Italia, a quanto pare, sì.

Simone Pierotti

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