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Seguire la sofferenza dell’uomo. Giorgio Fornoni si racconta

Parliamo della sua esperienza come reporter di guerra. Lei ha avuto l’onore di intervistare Anna Politkovskaja, quale il lascito di questa grande giornalista a tutti noi?

Anna Politkovskaja era una giornalista che non dava solo dati, che raccontava una storia o che faceva cronaca, era una persona, invece, che dava voce a chi non aveva voce, che lottava contro l’ingiustizia, che attaccava sia il Cremlino sia Putin. Così come attaccava i guerriglieri ceceni, Maskhadov e Basayev ad esempio, dava voce alla povera gente, vittima senza colpa che pagava per tutti gli altri. Io quando l’ho intervistata le chiesi: “Ma lei racconta tutte queste cose, non ha paura del Cremlino?” mi rispose: “Tutti hanno paura ma questo fa parte del nostro lavoro, quindi se tu non dici queste cose vuol dire che non fai il tuo lavoro fino in fondo: non è la paura che conta, ma raccontare quello che si deve raccontare. “Cosa pensa di Putin?”, le chiesi e lei mi rispose: “Io non ho niente contro di lui, ma ce l’ho con lui perchè viene qui a bombardare la sua gente”. Io ho avuto la fortuna di avere questo documento suo, ma d’altra parte quello di voler denunciare le cose sapendo che un giorno l’avresti pagata, lei stava su due prime linee: quella della guerra cecena e quella di raccontare le cose in casa in Russia. E se le racconti, te la fanno pagare. E così è stato. Adesso sto sviluppando un servizio per Report sui giornalisti russi uccisi, perché della Novaja Gazeta, ne hanno uccisi quattro. Ho incontrato il direttore e sto raccogliendo testimonianze su Natalia Estemirova, giornalista uccisa a Grozny un anno e mezzo fa, voglio raccontare della loro difficoltà nel raccontare la verità, loro a costo della vita raccontano la verità: non è solo la notizia che viene posta in atto ma viene raccontata sotto l’aspetto umano, quindi deve dare dignità al lavoro che sta dando.

Lei è stato recentemente a Grozny, cosa ci può dire della situazione attuale di quel paese?

Io sono entrato, tra i primi ad averlo fatto,  nel febbraio del 2000, quando c’erano ancora i cecchini, case distrutte e incendiate, crateri di bombe, bombardamenti. Sono ritornato dopo 11 anni e ho trovato un mondo totalmente diverso, ricostruito, tantissimi soldi sono stati spesi per la ricostruzione. Sembrerebbe quasi  un altro mondo ma quando vai a scavare, emergono le  testimonianze di persone sugli orrori, le sparizioni che devono subire. E’ un mondo-fiction, quello che ti fanno vedere, Kadirov sta usando il pugno di ferro per tenere a bada la situazione, è un uomo di Putin che usa la strategia del  terrore. Non dico che debba esistere subito una democrazia, perchè dopo la guerra non è facile, ma desidero intervistarlo.

Il coinvolgimento della popolazione civile nelle guerre moderne è uno degli aspetti più deleteri delle guerre stesse. Come può un giornalista mantenere un certo distacco per non compromettere il proprio lavoro?

Un giornalista, innanzitutto, deve raccontare ciò che vede, come diceva anche la Politkovskaja. Quanti giornalisti, ad esempio, hanno paura o non vanno in prima linea, raccontano cose riportate da altri. Un giornalista deve andare sul fatto, deve raccontare ciò che vede, questo diventa importante: usando il video non puoi barare e ti avvicini alla realtà.

Per andare ai confini del mondo, per seguire la sua passione, ha dovuto sacrificare qualcosa nella sua vita?

Ci sono dei sacrifici da dover fare, per viaggiare tanto devi avere delle possibilità economiche, o sei figlio di papà o devi provvedere diversamente. Io mi sono costruito un’attività, che mi ha sponsorizzato la vita, ho messo in piedi uno studio da commercialista che è andato bene, così sono potuto partire. Ho fatto un’inchiesta sulla pena di morte nel mondo, sono stato cinque volte negli Stati Uniti, tre volte in Cina, in Uzbekistan, in Iran, in Africa, immagina quanti viaggi, ho recuperato un terzo delle spese che ho sostenuto, ma che importa? Milena Gabanelli mi ha dato la possibilità di raccontare queste storie e sono contento di averle potute raccontare.  Quello che dovete superare voi giovani è da un lato il problema economico, ma anche il problema di evitare le frustrazioni, se anche non vi pubblicano un articolo, certo sarete delusi, ma dovete andare più in là ogni volta e alla fine sarete ricompensati.

Report è considerato uno dei migliori programmi di inchiesta giornalistica, cosa le ha dato dal punto di vista professionale lavorare in quell’ambiente?

Mi dà la possibilità di dare al grande pubblico le notizie, di tornare sulla storia, è cambiato il taglio: per fare un’inchiesta devi andare fino all’osso delle cose, devi raccontarle. Report è stata una gratificazione, perchè riuscire a portare al grande pubblico le cose che tu fai, in una trasmissione così seria, è una delle cose più belle della vita, è importante veramente. Io ho avuto tante delusioni, avevo parecchi scoop, inchieste anche importanti che non riuscivo a mandare in onda, ma da quando mi hanno dedicato questa puntata, è sparita la delusione, ecco perchè dico che bisogna superare la montagna.

Mi ha colpito molto quando ha detto che occorre fare le domande come un bambino per capire veramente. La semplicità e l’umiltà sono dei valori importanti per lei?

Quando intervisti una persona non è la domanda ad essere importante. Devi entrare in contatto con quella persona, devi trovare un feeling per farti raccontare le cose. L’intervistato ti deve parlare con il il cuore, deve dare sapore a quello che dice, altrimenti è asettico. La notizia di per sé non basta, deve trovarci un senso altrimenti è come avere il raffreddore, non ci provi gusto.

Nella vita di un giornalista capita di seguire una o due grandi storie, lei ne ha già seguite molte e quale è rimasta di più nel suo cuore?

E’ un’unica storia, che consiste nel seguire la sofferenza dell’uomo. Saranno tanti capitoli, ma la storia è una: se tu cerchi la sofferenza dell’uomo riesci a trovare l’uomo, questo è il discorso. Trovi la dimensione umana, la dignità e questo è quello che conta: con l’uomo che soffre riesci sempre a rapportarti. Mi piace raccontare queste storie, sento un dovere ormai, non riesco a stare lontano dalla sofferenza.

Alessandro Belotti

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