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Tra telecamere ed elmetti, come affrontare una guerra con una telecamera o una biro

Iraq, Afghanistan, Africa e luoghi di cui voi non dovrete mai conoscere i nomi. Più che un cameraman, sembra un soldato addestrato a sopravvivere in situazioni estreme. In un certo senso Laith Mushtaq, corrispondente freelance e soprattutto del team di Al Jazeera, è realmente un militare. Inizia la sua carriera di soldato nell’esercito, poi s’interessa al mondo dei media e diventa corrispondente free lance, soprattutto nelle zone calde di guerra. Nel suo intervento al festival è preciso, mirato. Centra subito l’argomento, parla di come bisogna vestirsi, di cosa bisogna portare e di come ci si deve comportare in situazioni ad alto rischio. Appoggiato quasi sempre alla parete della sala conferenze dell’Hotel Rosetta, è vestito come un militare d’istanza nel deserto. Ed inizia proprio da qui: “Questo abbigliamento, secondo voi, è giusto per un giornalista in azione di guerra?”. Domanda a bruciapelo che lascia tutti un po’ perplessi. La risposta è un secco no e ne spiega le motivazioni. L’essere uguale a un militare, portare le stesse scarpe di una truppa, avere lo stesso aspetto, darebbe motivo a chi ti ha sotto il mirino di premere il grilletto. Da qui parte la spiegazione di Laith. Bisogna distinguersi dai militari per un’informazione completa, che non prescinda dalla scorta o dai luoghi di appartenenza. Poi c’è il problema di come fare un’informazione completa: dall’ascolto di tutte le ‘campane’, alla conferma delle fonti; dalla pericolosità di reperire le attrezzature alle intercettazioni dei reparti di polizia segreta di cellulari e portatili, con la conseguente pericolosità di trovarsi immischiati in blitz da parte dell’una o dell’altra fazione. Un laboratorio intenso quello di Mushtaq, che non manca di esperienze dirette e di forti particolari: dalla morte del suo collaboratore durante una ripresa notturna, all’odore che non va via dal naso per mesi e mesi, alla descrizione dei baby soldier in Africa, capaci di ucciderti perché troppo ubriachi. Ogni sua parola è la conferma di quello che si vede raramente sui giornali e sui telegiornali. Vedere il cambio di espressione di quando racconta un’esplosione o la sensazione di un corpo morto accanto è più esplicita di mille parole. Il sentire come la guerra vista da un obiettivo ti cambi sensibilmente, tanto da non sopportare più l’odore della carne cotta o addirittura la visione di una bistecca. Quell’odore acre di morte che non ti abbandona. Ma tutto fatto con la consapevolezza che il lavoro che stai producendo, aiuterà a far conoscere a 360° quello che realmente è la guerra e che forse aiuterà, un giorno, anche ad evitarla per non accendere mai più quella lucina rossa davanti a chi dichiara morte o odio, oppure davanti a qualcuno che non può più dire nulla.
Abramo Chiccarelli

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