Relatori pubblici e giornalisti, una nuova identità
La relazione tra la figura del giornalista e quella del relatore pubblico è stato il tema dell’incontro tenutosi mercoledì pomeriggio all’Hotel Brufani. Molti gli ospiti che hanno dato vita al dibattito. A mediare gli interventi è stato un divertente e ironico Sebastiano Barisoni, capo redattore di Radio 24. Barisoni si è subito concentrato sul rapporto di amore e odio che esiste tra le due tipologie di professionisti della comunicazione che hanno modalità e obiettivi diversi nello svolgere il loro mestiere di divulgatori di informazioni, partendo dalla contrapposizione di base tra pubblico e privato in cui questi operano.
Il primo a intervenire a Gianluca Comin, presidente di FERPI (Federazioni Relazioni Pubbliche Italiana) e direttore delle Relazioni Esterne di Enel. Comin pone l’attenzione sull’affollamento di canali comunicativi dei nostri giorni, da Internet alle recentissime forme di comunicazione. Precedentemente, ricorda, era tutto più semplice perché esistevano pochi giornali che venivano considerati autorevoli e, quindi, comunicare attraverso essi era una sorta di obbligo. Per scegliere dove veicolare l’informazione, continua, è necessario conoscere a fondo il proprio stakeholder.
Giuseppe De Filippi, capo redattore del Tg5, che porta l’esempio proprio della società per la quale lavora comin, l’Enel. Un’azienda di questo tipo, afferma De Filippi, non può fare altro che comunicare in modo rigoroso i suoi dati visto che hanno una rilevanza di ordine sociale notevole. Sbagliare una cifra riguardante il costo della luce può infatti comportare pesanti conseguenze per tutti noi. Ecco perché in questo, come in altri casi, la funzione del relatore pubblico deve comunque tener conto che l’informazione che dà deve necessariamente rispettare i parametri impartiti dall’azienda presso cui lavora.
Il Presidente e Amministratore Delegato della Barabino & Partners, Luca Barabino, nel suo intervento ricorda che la libera stampa effettivamente non è mai esistita, neanche nei suoi anni gloriosi, e che oggi la politica non ha più misura e dilaga nell’informazione attraverso meccanismi che la legano a logiche che sfruttano la comunicazione per altri scopi. Il vantaggio di lavorare come relatori pubblici, continua Barabino, è quello di avere la possibilità di dire no al proprio datore di lavoro, interagire con esso e persino rifiutare una proposta. Cosa che più difficilmente accade nelle redazioni giornalistiche.
Concita De Gregorio, direttrice de L’Unità, ha proseguito il dibattito introducendo il grande tema della pubblicità e raccontando la sua esperienza lavorativa personale. Negli anni in cui ha lavorato per Repubblica e, ancora prima, per testate locali più piccole, ha spesso avuto a che fare con la pubblicità: nei giornali locali perché spesso le concessionarie di pubblicità si trovano all’interno delle redazioni stesse, avendo perciò un contatto diretto e immediato con il giornalista; nel caso di Repubblica, invece, la De Gregorio si è occupata frequentemente degli speciali, all’interno dei quali la pubblicità ricopre un ruolo molto importante. Anche negli anni dell’Unità, la De Gregorio ha avuto a che fare con la comunicazione pubblicitaria, anche se in casi più “spiacevoli”. Ha ricordato, infatti, la decisione di Trenitalia di non investire più in pubblicità sul giornale da lei diretto perché qualche tempo prima era stato pubblicato un articolo sulla strage ferroviaria di Viareggio che poco piacque alla società.
Paolo Liguori, direttore di TgCom, ha anch’esso ribadito il concetto di affollamento dei canali di comunicazione che sono andati già oltre internet, come nel caso delle applicazioni – attraverso le quali il pubblico si riunisce in base ai propri interessi – e Facebook che, oltre alle fin troppo note caratteristiche, sta offrendo alle aziende un nuovo layout da utilizzare per comunicare. Adesso, quindi, la comunicazione aziendale necessita di adeguarsi alle nuove tecnologie e alle nuove tendenze comunicative, così come il giornalismo ha già dovuto fare.
Bruno Manfellotto, direttore de L’Espresso, ricorda che la pubblicità investe per il 60% in tv, sui giornali il 40% (l’Italia è l’unico paese al mondo in cui ciò accade). L’invito di Manfellotto è quello di fare in modo che il mercato pubblicitario cambi.
Il convegno è proseguito con le considerazioni finali sul tema del rapporto tra giornalisti e relatori pubblici in Italia, un dialogo conflittuale e non sempre tranquillo che coinvolge le due facce della stessa medaglia che si chiama “comunicazione”.
Alessia Maria Abrami