Questione di donne… e non solo
Il secondo degli incontri su Donne, Media e potere tenutosi giovedì 22 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo inizia senza moderatore visto che le ospiti invitate: Laura Laurenzi, Maria Laura Rodotà, Cristina Sivieri Tagliabue e Tiziana Ferrario decidono di cominciare il panel dopo aver concesso il quarto d’ora accademico ad Angelo Mellone che arriva trafelato alle 11 e 20 in una sala dei Notari già bella piena. Inizia Cristina Sivieri Tagliabue che passa in rassegna le prime pagine domenicali dei maggiori quotidiani nazionali per scoprire quante sono le firme femminili… la media è bassa, su una carrellata di una ventina di giornali, si aggira intorno al 12,36%. Il moderatore prende la parola ed invita a riflettere sul titolo del panel tenendo conto che l’Italia è il paese più maschilista d’Europa e che l’identità professionale ed il conseguente riconoscimento sociale sono più difficili da raggiungere. Tutte d’accordo, nelle posizioni chiave le donne sono pochissime.
In campo giornalistico le uniche due direttori di giornali sono Concita De Gregorio all’Unità e Flavia Perina direttore del Secolo d’Italia. Nonostante ci sia una femminilizzazione in atto in Italia, dati alla mano e paragonando il nostro paese agli Stati Uniti, al ritmo attuale raggiungeremo la parità di genere nel 2075. Le donne appaiono sotto le luci della ribalta quando sono donne di spettacolo e si presentano come un modello forte, spregiudicato, energico, un po’ alla Simona Ventura o quando si parla di violenza di genere. Quasi mai si parla di loro in politica, nel mondo dell’agricoltura, poco se sono imprenditrici, manager, donne di numeri. Un dato curioso, spesso i media si occupano di donne quando ricoprono ruoli professionali inconsueti, se sono astrologhe, chimiche o si occupano di artigianato. Cristina Sivieri Tagliabue è convinta del fatto che nel mondo del giornalismo le donne fanno fatica ad entrare proprio perchè sono donne e c’è sempre questa tendenza a chiedergli se sono figlie, mogli, amanti di qualcuno per accedere ad un qualche ruolo di prestigio, si ha come l’impressione che questo conti più dell’opinione, come se fosse atavicamente normale che il potere di una donna debba essere concesso da un uomo. Eppure le donne sono presenti in percentuali più alte nelle università, raggiungono risultati mediamente migliori rispetto ai colleghi maschi… il punto è come afferma Maria Laura Rodotà blogger del Corsera, che anche se sono brave, volenterose e talentuose, a un certo punto devono fermarsi, per forza e questo perché la struttura italiana non è pronta, manca da decenni una vera ed efficace politica della famiglia, non c’è un welfare che sappia coniugare armonicamente l’identità professionale della donna e il suo ruolo familiare.
Un punto questo su cui lavorare, da cui ripartire per dare una risposta alla domanda “How to change?” Ripartire da un welfare di qualità, ritrovare e ricordare il senso delle grandi conquiste femminili e sociali, decostruire i comportamenti maschili, magari rispondendo ad una battuta con un’altra battuta, combattendo quei fenomeni di Eva contro Eva di cui spesso le donne sono le prime a rendersi responsabili, ritrovare la partecipazione politica e una nuova integrazione tra sfera privata e pubblica. Mellone interviene infine chiedendo a tutte se sono davvero convinte che un modello fondato sulle quote rosa e su una partecipazione delle donne nei concorsi o nella cosa pubblica comunque prevista per legge, possa essere funzionale al cambiamento: Sì, Bo, si spera fra due generazioni è la risposta di Rodotà, intanto diamogliela questa possibilità. Cominciamo da qui, ribadisce Tiziana Ferrario che poco dopo alla richiesta della collega Laurenzi su quando la rivedremo di nuovo al Tg1 delle 20, sorride complice e compiaciuta per la domanda e dopo un lungo applauso, che copre i malumori di un Mellone poco entusiasta per questa deviazione fuori dal seminato, risponde: “Non dipende da me, il giornale deve essere non di una parte, ma di tutti, se dire questo significa che dovrò starmene da una parte, lo farò.”
Per concludere, mi sento di dare anche io una risposta alla domanda How to change, perché credo fermamente che le cose potranno e possono cambiare solo se si ristabilisce la centralità dell’individuo, l’individuo come persona titolare di diritti e doveri che va rispettato in quanto essere umano, prima di parlare di uomo o donna. Perché l’educazione e la cultura del rispetto verso l’altro è l’unico antidoto alla creazione di pregiudizi, da piccoli non si vedono le differenze nella loro accezione disgregante, i bambini non sanno che cos’è il razzismo o la discriminazione sessuale, di razza o religione. Se vogliamo cominciare a cambiare le cose, a parlare di giustizia ed uguaglianza, di pari opportunità, tanto per cominciare si potrebbe rendere obbligatoria nelle scuole la lettura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e perché no, appendere ovunque ci sia una parete bianca una riproduzione a caratteri cubitali dell’Art. 3 della nostra Costituzione… magari al posto di un crocefisso.
Jessica Hardt
in realtà era alle 17.20… errore di battitura ragazzi!