CORPI CHE non CONTANO.
Venerdì pomeriggio il terzo appuntamento femminile del Festival: Maria Corbi (La Stampa), Lorella Zanardo, Megan Williams e Ida Dominijanni (Il Manifesto) si confrontano sulla condizione delle donne in Italia, sul ruolo che ricoprono nei media e nella politica del Paese. Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale e unico uomo sul palco, apre la discussione in modo provocatorio affermando che “ il potere logora chi non ce l’ha”. Le donne quindi, visto che, dati alla mano, il rapporto delle famigerate quote rosa & co. è alquanto deludente. Ascoltando le colleghe sembra ancora di parlare del dovere di cui scriveva Virginia Woolf nel secolo scorso, ossia la necessità di continuare a porre domande e di cercare risposte per “migliorare la vita di tutte le donne”. E dal momento che uno dei primi testamenti ricevuti in eredità dal femminismo è la filosofia de il personale è politico, allora dalle esperienza individuali è possibile una forma di cambiamento ex ante. Le donne in sala lo sottolineano; è fondamentale cominciare a guardare con altri occhi. La necessità di agire sui media si fa urgenza: da una parte il bisogno di sconfessare tutti i clichès normativi che vorrebbero intrappolare le donne nella donna, dall’altra la promozione di un pluralismo femminile. Lorella Zanardo tiene il punto ne Il corpo delle donne, documentario sull’(ab)uso del corpo femminile in tv. Il progetto è realizzato analizzando 400 ore di intrattenimento televisivo e selezionando le immagini più significative per la cancellazione della dignità femminile da parte dei canali mediatici . “Il risultato-afferma- è la constatazione che le donne vere stiano scomparendo dalla televisione e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante.” Non si parla solo della categoria delle donne-oggetto, la Zanardo ne aggiunge altre due: le “grechine”e le “umiliate”. Le prime sono le donne da decorazione, quelle che assolvono il compito di essere guardate. Le seconde sono i corpi da degradare, quelli che si ritrovano nelle situazioni grottesche di un presentatore televisivo che si rivolge loro dicendo “non hai il cervello” o “le tette le hai lasciate a casa?”. Secondo Megan William, e qui il Censis concorda, nella televisione italiana si ragiona solo per dinamiche di profitto e, di conseguenza, è naturale che tutto diventi lecito. La “critical mass”, il fronte all’abuso dell’immagine, non è ascoltata dai media i quali continuano a proporre stereotipi femminili. La soluzione non può essere semplicemente spegnere la televisione perché farlo “è atto elitario”. Un’alternativa è necessaria: non solo una maggiore sensibilizzazione sul problema ma un percorso che porti a conseguenze concrete. La riforma dell’Auditel per cominciare, affinché si restituisca una programmazione migliore, una tv pubblica depurata dai corpi che, solo all’apparenza, non parlano e non pensano.
Marta Facchini.