Noi, radical chic che ancora leggiamo libri
In un mondo sempre piu’ superficiale ed in cui la cultura sembra essere il principale nemico e’ ancora possibile darle spazio e rilievo sui giornali senza usare mezzucci per attirare l’attenzione del lettore?
Al Teatro Pavone si discute di questo e Massimo Gramellini (vice direttore de La Stampa) guida il dialogo fra Wlodek Goldkorn (L’Espresso), Giovanna Zucconi (Che tempo che fa) e Caterina Soffici (Il Riformista). Assente Peter Stothard di Times Literary Supplement, ennesima vittima della nube di cenere islandese.
Si inizia parlando degli effettivi problemi che affliggono il giornalismo ad indirizzo culturale, prima fra tutti l’annosa questione delle “marchette”: consigliare e recensire libri solo perche’ scritti da uomini potenti oppure da amici, parenti, amici di amici degli editori, prescindendo cosi’ dall’effettiva qualita’ del prodotto. I relatori, specie la Soffici, si richiamano al modello di giornalismo anglosassone, in cui per linea editoriale non si recensiscono libri dei collaboratori del giornale salvo una volta all’anno e in una sezione apposita. Peccato che non ci fosse Stothard a parlarne di persona,
Tutti gli speakers si proclamano contrari alla dinamica delle marchette (e mi permetto di dubitare della loro sincerita’) e pongono in primo piano il rispetto per il lettore, elemento che sembra latitare dalle pagine culturali di oggi, perse ad inseguire l’anticipazione eccezionale per rubarla ai colleghi delle altre testate oppure convinte di poter venedere al lettore tutto quello che vogliono. In questo modo il rischio e’ di confinarsi in una sterile autoreferenzialita’ incapace di fornire valide indicazioni ai fruitori, che cosi’ si rivolgono ad altri mezzi primo fra tutti Internet. Come spesso ho sentito in questi giorni Festival di nuovo si rivolge una critica alla rete, ma per la prima volta mi sembra che venga fatto a ragion veduta e non solo per ostitlita’ di quartiere fra mezzi informativi: Giovanna Zucconi e Caterina Soffici spiegano come la critica abbia bisogno di spazio e di tempo di riflessione, percio’ la materia culturale male si presta all’immediatezza che caratterizza il web.
Parlare di perche’ la cultura si trovi progressivamente espulsa dai giornali significa inevitabilmente parlare anche di politica e da tutti viene affermato con chiarezza che fare un lavoro culturale e’ politica, in quanto oggi l’arma piu’ efficace nelle mani dei politici al governo e’ disprezzare la cultura, declassandola a cosa da snob e radical-chic. Proprio a questo proposito la Zucconi cita una frase pronunciata da Tremonti, il quale, durante i festeggiamenti leghist per l’elezione di Cota in Piemonte, ha detto “non siamo degli snob, mica leggiamo i libri noi!” ricevendo scrosci di applausi e grida di acclamazione.
Il tono ironico della Zucconi fa si’ che tutta la sala, in cui in quel momento si sentono tutti fieramente radical chic se questa deve essere la definizione data a chi legge, rida ma il riso e’ amaro e non fa dimenticare la serieta’ del problema. Il libro e’ ormai diventato un oggetto simbolico, dipinto come il nemico di un’anima popolare (ed in realta’ fortemente populista) che fa dell’incultura un punto di forza, facendo passare il messaggio che chi legge ed e’ colto sia nemico del popolo. Preoccupa il fatto che questa mistificazioni funzioni e nessuno in generale capisca che vero nemico, vero spregiatore del popolo, e’ chi e’ convinto che la gente voglia nutrirsi solo di spazzatura televisiva ed essere tenuta nell’ignoranza.
Quello che viene detto durante la conferenza e’ innegabilmente giustissimo e non scade mai nel noioso, in quanto i rappporti professionali e personali di lunga data che i relatori intrattengono fra loro fanno si’ che il dialogo sia animato da ironia, umorismo e battute; per esempio scoppia l’ilarita’ collettiva quando la Soffici ricorda che il direttore del Times abbia previsto l’uscita della loro ultima copia cartacea nel 2012 e la Zucconi commenta con “si’, anche Giacobbo lo ha detto”. Gramellini poi rincara la dose: “ho notato che Giacobbo e’ un nome che risveglia subito una platea. Quando vedo che sta scendendo il sonno dopo pranzo dico Giacobbo! e tutti cominciano a ridere. Una volta succedeva anche dicendo Clemente Mastella”.
E questo e’ solo un esempio delle risate che frequentemente contagiano gli spettatori, a dimostrazione che una discussione sulla cultura non deve necessariamente essere verbosa e pesante.
Tuttavia delude un po’ il fatto che, nonostante si sia parlato di autoreferenzialita’ come sommo difetto, il discorso stesso rimanga in parte confinato in un recinto autoreferenziale, senza proporre input per trovare una soluzione.
Valentina Selmi
Finalmente qualcuno che apertamente difende la “cultura” e la lettura di buoni libri.