Di giornalismo si può morire
Perugia, 23 Aprile 2010 – Oggi al festival del giornalismo di Perugia è andato in onda il lato più terribile del lavoro del giornalista: la morte. Che sia su commissione, per incidente o per rapimento a scopo di estorsione non cambia molto. Resta che di giornalismo si può morire. In due incontri si è parlato di questo argomento da inquadrature diverse. Ad aprire la “giornata delle salme” è stato l’incontro delle 11 all’hotel Brufani con A. Macchi, di Mediaset, D. Bunuel, di National Geographic e L. Mushtaq di Al Jazeera, dal titolo “Fotogiornalismo e conflitti”. In una sala attenta e silenziosa i tre giornalisti hanno raccontato le loro esperienze a riguardo con toni, sguardi, coinvolgimento davvero molto differenti. Straordinaria per intensità ed empatia, tanto da lasciare un groppo alla gola nel pubblico e ricalciare indietro a fatica le lacrime in chi scrive, la testimonianza di L. Mushtaq che ha vissuto in primo piano la guerra in Iraq. Il garbo, la pacatezza, il rispetto di quest’uomo per la morte, per la sofferenza, emozione che ha vissuto in primo piano causa la perdita di un collega sotto i propri occhi e di una sorella, è stato qualcosa che va oltre la semplice emozione.
Nel pomeriggio, sempre presso l’hotel Brufani, è andato in scena il secondo, e per certi aspetti più odioso capitolo: l’eliminazione del giornalista. V. Yaroshevski, vice direttore di Novaja Gazeta e L. Yusipova, giornalista e avvocato per i diritti umani, con il contributo di A. Riscassi e con la moderazione di M. Greco, entrambi giornalisti RAI, hanno parlato della drammatica situazione del giornalismo in Russia dove chi fa informazione “scomoda” viene eliminato. Il caso di A. Politkovskaja, citata spesso dai relatori, è solo il nome più importante di un problema, di una deriva culturale e sociale, cui il grande paese in mano agli oligarchi sta andando incontro e che, forse, potrebbe, se le cose non cambieranno, diventare una realtà anche nel nostro.
M. Affini