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Giornalismo di guerra tra free lance e incastrati

Due giornalisti ed un generale dell’esercito, giovedì, nella sala del Centro servizi G. Alessi hanno parlato del giornalismo di guerra. Oliviero Bergamini e Gianluca Ales hanno mostrato le loro esperienze da inviati senza tralasciare rischi e accorgimenti necessari per documentare una guerra. Quando si viaggia da free lance prima di tutto occorre pianificare, studiare sia storicamente che geograficamente perché ogni conflitto è diverso, “Ma- dice Bergamini- è l’esperienza che ti forma, andare in un luogo e poi ritornarci ti aiuta a capire l’evoluzione delle sue problematiche”. Una delle cose più importanti è trovare il giusto fixer o producer o stinger. Lo stringer è l’interfaccia che è sia guida che traduttore che procacciatore di notizie. Gianluca Ales insiste: “L’intuito deve farci decidere. È l’intuito che ci guida nel scegliere le cose da dire e da scremare. Perché anche la nostra guida a suo modo è un filtro e vorrà comunque condizionare la nostra visione della guerra”. Essere un inviato embedded, invece, da una visione della guerra differente: dal lato dei soldati. L’ embedded (l’incastrato cioè) con i soldati vive la quotidianità così che è impossibile rendere una visione globale del conflitto. Il generale Fogari interviene “Indubbiamente tra giornalisti e militari deve crearsi una collaborazione perché i militari cercano di facilitare la permanenza dei giornalisti”. Un altro concetto interessante è capire che il giornalista italiano oggi è diventato un obiettivo da colpire e dal quale estorcere denaro perché lo stato italiano è l’unico che paga il riscatto dei giornalisti e questo rende il lavoro dei free lance ancora più a rischio. Per capire l’informazione di guerra c’è da comprendere che attorno ad un’operazione militare tre sono le parti chiamate in causa il giornalista, i militari e la politica. Questi tre attori hanno interessi differenti e contrastanti e questo sottile gioco a tre condiziona indubbiamente le informazioni e le notizie e quindi l’idea che noi fruitori abbiamo di un conflitto.

Teresa Manuzzu

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