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Bamboccioni a chi?

Il centro di Perugia è un polmone che respira l’aria nuova di centinaia di giovani uomini e donne. Partiti da ogni provincia del mondo alla volta di una piccola città d’Italia, l’hanno invasa come un corteo invade la piazza, come una folla inonda lo stadio, come una folata d’aria fresca scrolla dai rami le ultime foglie raggrinzite. Le passioni più coraggiose e le curiosità più allarmate si muovono dal teatro alla sala, guardano di sottecchi le meraviglie medievali del borgo, e via di corsa alla ricerca dell’intervento ambito. Ci raccontano che la mia generazione non ha ideali, idee, spirito d’iniziativa. Che si attarda negli studi perché non ha voglia di lavorare e si vuole crogiolare nella sicurezza di “mamma e papà”. Ma guardandomi intorno vedo una risposta a questa idiozia grande come una casa. Sono decine i ragazzi venuti al Festival che per qualche giorno hanno archiviato i loro impegni di studio e lavoro semplicemente per esserci, per prendere parte ad un momento di riflessione e dibattito. Non certo perché non conoscano altri modi divertenti per trascorrere il loro tempo libero. Non sono soltanto giovani giornalisti accorsi ad uno dei più grandi eventi organizzati nel loro campo, ci sono anche ragazzi laureati di fresco in giurisprudenza, scienze politiche, lettere, giovani lavoratori che hanno preso giorni di permesso, studenti curiosi, insegnanti, appassionati lettori, docenti universitari. Hanno organizzato gruppi da ogni parte d’Italia per venire a “sentire”, e hanno tutti la domanda pronta. Chissà quanti di noi avevano la domanda pronta. Ce la portiamo conficcata nella gola come un interrogativo che è nato con noi e che si sta sedimentando sempre di più. In Italia le risposte tardano ad arrivare. E chi ha seguito i dibattiti nel loro ritmo incalzante prova l’amara sensazione che quelle che ci portiamo dietro sono le stesse perplessità degli adulti in cattedra. Non si può in un momento estirpare tutta la confusione e l’incertezza di una generazione senza prospettiva, ma quello che si sta vivendo è un’imperdibile occasione di fusione e discussione tra due generazioni. Sembra un passaggio di insegne. Più di una volta i giornalisti hanno elogiato una presenza tanto massiccia e tanto vivace di forze giovani. Coi biglietti del treno alla mano, con lo sguardo un po’ scoraggiato, osservano i relatori che con acume e professionalità mostrano le sregolatezze della politica e dell’informazione nel nostro paese. Eppure c’è un guizzo di vivacità, anche se per l’ennesima volta ascoltiamo dell’unicità, nell’assurdità e scorrettezza sia ben chiaro, del nostro paese in Europa. Vorremmo per un attimo che i giornalisti sul palco fossero degli attori, il set teatrale potrebbe consentirci questa fantasia. Essendo tutto vero, fioccano domande, commenti e brusii: la platea è viva come non ne ho mai viste, ed è quasi esclusivamente animata da persone tra i venti e i trent’anni. Questa constatazione è un qualcosa che ci dà coraggio, anche se i media affossano spesso il nostro dissenso e non si soffermano a raccontare delle nostre proteste e delle nostre angosce, anche se la politica non ci aiuta ad avere una possibilità. Ecco perché siamo tutti qui, perché ce la vogliamo conquistare. E se fossimo un po’ più consapevoli delle nostre potenzialità e delle nostre energie, chissà, forse ce la saremmo già presa. Credo che questo Festival ci abbia fatto intravedere, nell’incontro e nel dialogo, la possibilità di un punto di partenza.

Valeria Mastroianni

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