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Nient’altro che la voce. La radio: ottant’anni portati benissimo

Da molto tempo ne presagiscono la morte. Ma la radio, sbeffeggiando i detrattori e i loro canti funebri, dimostra come sia ancora possibile coniugare intrattenimento a buona informazione. Ed è insieme la prova che la qualità premia: nonostante la crisi gli introiti pubblicitari non sono diminuiti.
Ieri pomeriggio, i tanti giovani e meno giovani che gremivano il Teatro Pavone hanno finalmente potuto dare un volto alle voci che tutti i giorni, via radio, scandiscono la loro giornata. Radio, la rivincita del buon giornalismo è stato un dibattito sullo stato di salute di questo mezzo che, nonostante l’età, si dimostra oggi più moderno e coinvolgente di quei giganti che portano i nomi di televisione e stampa.

Il segreto consiste nel “rapporto intimo tra l’ascoltatore e la voce. È qualcosa che la televisione e i giornali non riescono a creare. È una personalizzazione preziosa ed indispensabile in una società massificata come la nostra. La radio ha l’incredibile capacità di farti vedere delle immagini solo attraverso la voce”. Sono le parole di Vittorio Zucconi, direttore di radio Capital. Marcello Foa lo definisce un “mostro sacro”. Lui scherza sull’epiteto e, tra una battuta e un aneddoto, spiega quali sono oggi i problemi e le minacce, ad iniziare dall’eccessiva influenza del modello Rai sul linguaggio radiofonico: “ nelle redazioni bisognerebbe creare una colonna infame dove raccogliere espressioni stereotipate come l’onorevole ritiene che.”. Pesa poi la pressione degli inserzionisti pubblicitari, ai quali non importa la qualità di una trasmissione, ma solo il numero dei suoi ascoltatori.

Anche oltralpe la radio si dimostra vivace e in grado percorrere nuove strade nel segno del buon giornalismo. Jean Jaques Bourdin, direttore di Radio Monte Carlo, racconta come è riuscito a far risorgere la sua rete. “Ho comprato Radio Monte Carlo nel 2000, quando si trovava in piena crisi. Oggi è una delle radio più credibili e autorevoli di Francia. Come abbiamo fatto? Adottando un nuovo format : un dibattito aperto e libero con il pubblico. L’ascoltatore interagisce, portando la sua esperienza di vita.”. Niente musica, solo discussioni, quindi.

Una formula sulla quale Giuseppe Cruciani, giornalista di Radio 24, si mostra scettico. “Se si concede troppo spazio agli ascoltatori si rischia di cadere nel qualunquismo, perché il più delle volte chi chiama dà voce a posizioni estremiste, che non rappresentano l’ascoltatore medio”. L’eccessiva fiducia in chi si trova dall’altra parte non paga, secondo Cruciani, per il quale la vera innovazione sarebbe la definitiva “americanizzazione” della radio: “i conduttori non devono più fare la parte dei vigili urbani ma dire, senza ipocrisie, ciò che pensano. In futuro avranno successo solo coloro che si mostreranno schierati ed indipendenti”.

Giulia Zaccariello

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