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I vecchi giornalisti di una volta

Filippo Facci

Filippo Facci

Il web 2.0 spaventa il mondo del giornalismo? A giudicare dalle dichiarazioni rilasciate ieri da Filippo Facci nell’ambito del panel “Ha ancora senso scrivere un blog?” si direbbe proprio di sì.

Contrario all’idea del blog Facci – “fuori come una parabolica” secondo l’irriverente opinione di Gillioli, presente in sala e grande sostenitore dei blog – ha messo sul tavolo vari temi che stanno animando il dibattito in questi giorni di Festival e che costituiscono la base della discussione sui problemi e le soluzioni per il giornalismo nell’era del web e della partecipazione dal basso.

“Sono legato al senso di responsabilità con cui ci si rapporta con il giornale – ha spiegato la sua avversione al blog Facci –  penso a chi lo andrà a leggere. Non ho mai avuto un blog, Facebook l’ho usato per promuovere un libro, Twitter non so cosa sia”.  Eppure Facci non è così retrogrado da disprezzare il web, ha proseguito: “mi interessa tutto ciò che è tecnologico, ma tendo per diffidenza ad arrivarci con un paio di anni di ritardo. Se ha davvero senso scrivere un blog… Io mi chiedo se l’abbia mai avuto: apro il fronte alla questione ‘esplosione delle conversazioni online’. Davvero si comunica di più e la nostra vita è migliorata? Che apporto hanno dato l’informatizzazione e internet? Se le tematiche sono vecchie non significa che siano state risolte. Internet rende più depressi e soli, fa letteralmente male alla collettività modificando la nostra relazione col prossimo”.

Il vero problema per Facci non è tanto legato alla modernizzazione, ma filosofico ed etico: “l’esistenza di internet ha scoraggiato una sorta di reverenza che ciascuno di noi aveva nei confronti dell’ignoto, quel tipo di solitudine e ignoranza che non c’è più e che si aveva nelle crisi adolescenziali oggi sfocia in un tipo di socialità che prevede sempre una risposta: c’è sempre qualcuno, anche se questo porta a stare in casa tutto il giorno” ha proseguito il giornalista di Libero. E ancora, ha evidenziato la capacità dei social network di eliminare la verticalità a favore dell’orizzontalità, abolendo lo scavo sulla notizia, l’approfondimento, tutto ciò che insomma fa andare a fondo e impedisce di “surfare” sull’informazione e la conoscenza: “Facebook,  Google e Yahoo tendono a escludere dai nostri profili tutto ciò che apparentemente non ci interessa, questo si sposa con una tendenza dell’essere umano, quella all’aggregazione, alla creazione di colonie e quindi alla separatezza. Mi chiedo se la nascita di un pensiero originale non possa essere soffocata da questo meccanismo di ghettizzazione”.

L’inquietudine di Facci e una certa sorta di malinconia sono rivolte alla “qualità di una volta”, alle librerie dove un tempo compariva Calvino: “mi spiace se è banale – si è difeso il giornalista – tutto ciò che si diffonde, si ampia, come dimostra la partecipazione ai dibattiti di persone come me, crea un’omologazione verso il basso e quel dramma che qualcuno chiama dittatura degli ascolti e dei click, che si equivalgono tra loro”. Insomma: non ci sono più i vecchi giornalisti di una volta per Facci, e questo non può che portare a un’unica reazione, restare cioè legati alla necessità dell’Ordine dei giornalisti e delle barriere all’ingresso.

Alessandra Chiappori

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