Giornalisti in prima linea. Morire per testimoniare
Raccontare la verità può costare caro. Almeno 80 giornalisti uccisi ogni anno. Più di 140 in prigione. Del coraggio di testimoniare sempre e comunque si è discusso questo pomeriggio, in un incontro dal titolo suggestivo quanto scoraggiante: Condannati a morte: il coraggio di informare. E se è vero che rispetto a 30 anni fa i giornalisti godono di maggiore indipendenza, è altrettanto vero che almeno un terzo della popolazione mondiale non ha accesso a un’informazione libera.
Secondo Jean Francois Juillard, segretario generale di Reporters sans Frontiers, oggi a violare la libertà di stampa sono sempre più spesso soggetti privati, quali organizzazioni mafiose, gruppi armati e narcotrafficanti. L’unica alternativa, in questa situazione, diventa la fuga: “L’anno scorso più di 100 giornalisti hanno abbandonato il proprio paese. Le ripercussioni sulla vita privata possono essere devastanti. Devono reintegrarsi e ricostruire il loro futuro”.
Hollman Morris, direttore del programma Contravia, focalizza il dibattito sulle condizioni della stampa nel suo paese, la Colombia. “Sotto l’amministrazione di Uribe tutti coloro che si allontanano dalla linea ufficiale sono accusati di collaborare con i terroristi, vengono minacciati e, spesso, intercettati. Sotto una tale pressione diventa molto difficile svolgere il proprio lavoro”.
E non si tratta solo di parole. Sergio Cecchini, direttore dell’ufficio stampa della sezione italiana di Medici senza Frontiere, spiega infatti come l’attenzione dei media sia il preludio al coinvolgimento di organismi internazionali quali l’ONU. “Una crisi non raccontata è una crisi dimenticata. Non basta soccorrere, bisogna testimoniare. Perché attraverso la mobilitazione dell’opinione pubblica si possono cambiare le cose.”
E del valore della testimonianza parla anche Lorenzo Cremonesi, da anni inviato nelle zone di guerra per il Corriere della Sera. “È indispensabile recarsi sul posto per osservare e scrivere solo di ciò che si è visto. Non copiare le fonti, ma accertarle personalmente. Solo così si avranno notizie davvero nuove, e solo così i media sopravviveranno alla crisi”. Un ruolo e una responsabilità che, secondo Cremonesi, non saranno offuscati dalla rete e dalla diffusione dei blog: “Di fronte a fenomeni come You Tube, il giornalista è più che mai chiamato a rifuggire da facili spettacolarizzazioni, e a farsi garante di autorevolezza e credibilità. È una sfida in più e bisogna avere il coraggio di affrontarla”.
Giulia Zaccariello