Intossicare la verità: quando i servizi segreti condizionano l’informazione
Servizi segreti e informazione. Un binomio a tinte scure che, specialmente in Italia, evoca il ricordo dei grandi casi irrisolti del nostro paese.
In Italia esiste una legge – la n. 801 del 1977 – che vieta agli organi di stampa di tenere rapporti con i servizi segreti. Eppure questi rapporti esistono, ed è cosa nota che il lato oscuro dello Stato condizioni e manipoli l’informazione per i suoi scopi.
Ma come avviene questa commistione?
“Partiamo da un presupposto: non esiste un ambiente informativo pulito ed uno sporco. Giornalisti, uomini di partito, polizia, organismi di sicurezza, studiosi e servizi segreti si muovono nello stesso mondo”, spiega Aldo Giannuli, autore del libro Come i servizi segreti usano i media. “La notizia arriva, per esempio, da una fonte istituzionale come un ministero, la questura, un sindacato, o comunque un luogo dove c’è un addetto stampa che emette informazioni. A quel punto un’agenzia di stampa lancia la notizia e il giornalista la riprende per utilizzarla nella sua inchiesta. Durante questo percorso i servizi hanno molti modi per infiltrarsi, per lo più indiretti, e far circolare le informazioni che sono più congeniali ai loro scopi”. Gli esempi di come questo avvenga possono essere i più banali: da una chiacchierata a cena tra un giornalista ed un terzo non ufficialmente riconducibile al servizio, ad un bigliettino lasciato erroneamente sul tavolo.
Le notizie che vengono fatte arrivare alla stampa non sono necessariamente false. “I servizi non sono ostili alle verità, le sono indifferenti. Il loro interesse è solo di mettere in circolo informazioni funzionali al gioco. Solitamente si tratta di notizie composte da elementi reali ed elementi veri, in modo da renderle il più suggestivo possibile”.
La versione fatta circolare dai servizi diventa credibile, viene fatta confusione, create più piste plausibili. Le indagini si intossicano e si rallentano, c’è tutto il tempo per far sparire eventuali prove. Il caso può essere gestito e direzionato nel modo più opportuno per lo Stato.
Questo grosso modo il modus operandi di quelli che vengono chiamati – a torto, secondo Giannuli – servizi deviati. “Non esistono i servizi deviati, per il semplice motivo che non esistono quelli rettilinei. Il servizio segreto è per sua natura una deviazione dello Stato di diritto. Il cono d’ombra che li protegge è opposto alla magistratura, non alla popolazione, alla stampa o che altro. Il sottinteso della creazione dei servizi segreti è che questi devono compiere reati per raggiungere lo scopo”.
Il più delle volte queste operazioni di copertura vengono fatte per sopperire alla necessità di gestire politicamente in maniera diversa il caso in questione. Un esempio su tutti: la vicenda della strage della stazione di Bologna del 1980. Il depistaggio era finalizzato ad evitare che certe forze politiche potessero essere favorite.
Tipicamente, il lavoro di copertura della verità e condizionamento delle indagini e dei media segue un certo ordine”, spiega Giannuli. “C’è una prima fase in cui si cerca di far passare l’avvenimento come un incidente. Nel caso della strage di Bologna, ad esempio, inizialmente si disse che si trattava dello scoppio di una caldaia. Successivamente, si mette in circolo una pista plausibile ma sbagliata. Se questa non riesce ad avere abbastanza presa, si operano forme di censura sottrattiva: sparizioni di testimoni o prove. Poi subentra una fase additiva, con la comparsa di sedicenti teste chiave o nuovi elementi. Queste operazioni sono tutte finalizzate ad arrivare al momento in cui l’opinione pubblica si stanca e il caso cade nell’oblio. Raramente c’è un’ultima fase, quella dell’entropia: vengono emesse notizie vere e false per perdere tempo e far esplodere l’inchiesta. È quello che è accaduto nella strage di Ustica. L’inchiesta è impazzita”.
Depistaggio, occultamento delle prove, inquinamento delle indagini per celare una verità politica che non poteva essere detta. Reati commessi con la copertura della ragion di Stato. E in mezzo a tutto questo ci sono i media, spesso – paradossalmente – mezzo di intossicazione di quella stessa verità che vorrebbero raccontare.
Claudia Torrisi
@clatorrisi