Iacona, il femminicidio oltre la cronaca
“Io ho parlato di questi fenomeni nello stesso modo in cui parlo delle grandi questioni nazionali, avvalendomi degli stessi strumenti”.
È questo l’approccio che Riccardo Iacona ha utilizzato per raccontare il femminicidio. Un tema tabù in Italia, troppo spesso etichettato dai media come delitto passionale, confinato a semplice fatto di cronaca.
Il femminicidio, però, è qualcosa di più. È un fatto politico, una questione di salute nazionale.
Nel corso di una riflessione con Concita De Gregorio, Iacona, uno dei pochi giornalisti maschi ad aver affrontato l’argomento con le sue inchieste, ha spiegato perché questo sia una problema culturale che nessuno, istituzioni comprese, ha ancora avuto il coraggio capire.
“Mi sono immerso in maniera molto laica per cercare di ricostruire veramente quello che è successo attorno a queste storie.
È così che ho scoperto che c’è qualcosa che non torna, che le storie che ci raccontano sono solo una parte della realtà. La parte più importante, quella che segnala l’emergenza di questo paese, un paese profondamente ostile alle donne, viene cancellata e non ci viene raccontata.
Questo io l’avevo sospettato perché i conti non tornano: se mi dicono che sono storie di gelosia, che sono storie del passato, come mai aumentano?
Ho incontrato dei personaggi straordinari che sono quelle donne, che non sono semplici vittime che hanno sbagliato a scegliersi l’uomo, destinate a morire, prima picchiate e poi uccise. Sono il meglio delle donne italiane, peccato che le abbiano tolto la parola, peccato che la testimonianza della loro morte non serva da esempio, perché in questo paese non si muove nulla intorno a queste persone.
Le donne su questo hanno già scritto. Penso, allora, che sia una battaglia che dovrebbero fare ora anche tutti i giornalisti maschi, per mettere all’attenzione delle classi dirigenti di questo paese la problematica. Così fanno i paesi più civili ma da questo punto di vista, noi, siamo più vicini al Nordafrica che alla Francia e alla Germania”.
Il femminicidio viene liquidato come un fatto di cronaca, come spiegare, invece, che si tratta di una questione politica?
“Il punto cardine è fare bene la cronaca. Questo vuol dire raccontare la parte cruciale senza nascondere l’aspetto politico.
Il punto è fare una vera narrazione di queste storie, anzi, una contro-narrazione. Questa in realtà esiste già, basta entrare in un centro antiviolenza e ascoltare le storie delle donne che ci sono passate, per capire come abbiano elaborato queste difficili esperienze. Il problema è che queste storie non sono diventate patrimonio comune. Continua a essere etichettato come se fosse un problema esclusivamente delle donne, del movimento femminista.
Non è così però. Quelle donne ci stanno raccontando com’è veramente l’Italia.
Quando ne prenderemo consapevolezza, capiremo che questa apartheid è uno dei motivi per cui non usciamo dalla crisi. Noi non possiamo fare una gara alle olimpiadi e partire con una gamba tagliata.
Tra gli obiettivi del millennio, stilati dalle Nazioni Unite, al terzo posto hanno messo la differenza di genere e questo perché studiosi, economisti, sociologi, politologi sostengono che un paese dove non ci sono differenze di genere e tutti partono dalle stesse possibilità, è un paese più ricco, è un paese dove ci sono più opportunità. Noi dobbiamo per forza andare da quella parte ma per farlo bisogna riconoscere che c’è un problema. Questo è un paese talmente arretrato che pensa di essere un paese libero senza aver mai affrontato la questione femminile. Le ultime conquiste si sono ottenute grazie alle donne che hanno cambiato la faccia di questo paese: divorzio, interruzione di gravidanza.
Poi stop. Non c’è stato più niente e gli uomini hanno ripreso il potere e non lo lasceranno mai se non si fanno politiche attive”.
La situazione di crisi economica e politica del nostro paese, ha alimentato questo fenomeno?
“Questa crisi ha peggiorato indubbiamente la situazione delle donne che sono, da questo punto di vista, più colpite perché appunto c’è un’ apartheid e, discriminate sul lavoro, vengono più facilmente licenziate. Una donna che ha meno risorse è una donna che può difendersi di meno. Quindi la crisi, le ha rese più fragili.
Però non è la crisi a scatenare gli uomini,questa è un alibi.
Gli uomini vogliono mantenere il potere, come ho detto, non accettano che la donna possa uscire da quella prigione e per questo la uccidono. Lo fanno quando è tecnicamente fuggita, perché se la donna continuasse a sopportare sarebbe ancora viva. Magari farebbe una vita d’inferno ma sarebbe ancora viva”.
Micol Barba – @micolbarba