Da CAR a Data: passato, presente e futuro del giornalismo dei dati
Il giornalismo dei dati non è un fenomeno nuovo.
Pionieri come Philip Meyer, autore di Precision Journalism, hanno infatti aperto la via al data journalism dalla fine degli anni sessanta. Uno dei primi progetti nel campo del giornalismo dei dati è stata l’analisi delle Detroit Riots del 1967, redatta dallo stesso Meyer, e avviata sulla base di ricerche statistiche.
“Il giornalismo di precisione applica tecniche e metodi scientifici al ramo del giornalismo” spiega il premio Pulitzer Steve Doig al primo panel della scuola di Data Journalism organizzata a IJF dallo European Journalism Center.
Doig e Sarah Cohen della Duke University, e a sua volta premio Pulitzer, ha brevement introdotto il pubblico presente all’Hotel Brufani alla storia del giornalismo dei dati, spiegando come una delle qualità essenziali per creare progetti di successo sia “dimenticare le parole e passare ai fatti”.
“Penso che non sia più possibile avere un giornalista in grado di fare tutto ciò che richiede la professione del data journalist” ha detto Doig durante il panel presentato da Guido Romeo di Fondazione Ahref. “L’importante è avere accesso alle persone giuste che possono aiutarti a realizzare una visualizzazione, estrarre dati, o scrivere un pezzo”.
Sarah Cohen fa eco al suo pensiero confermando come “il giornalismo dei dati è un lavoro di squadra. Nella sua forma più scarna un team ideale raggruppa un reporter, un esperto di dati, un esperto di visualizzazione e un bravo autore”.
Durante l’incontro Simon Rogers, redattore del Guardian Data Blog, ha presentato alcuni progetti realizzati dal suo team, come l’analisi delle London Riots e di come le notizie false si diffondano su Twitter in momenti di crisi.
Aron Pilhofer del New York Times ricorda che “questi progetti devono essere dati al pubblico, messi online, e pubblicati, così che i lettori possano scoprire le storie piu’ rilevanti per la loro vita quotidiana”.
La professione del giornalista andrà includendo sempre di più abilità che, a prima vista, non hanno nulla a che fare con il giornalismo tradizionale. “Le persone che lavorano nel mio team hanno un background informatico o scientifico. Stiamo vedendo come il modo di presentare una storia stia diventando sempre piu’ importante, e scegliere la presentazione giusta è la chiave per coinvolgere i lettori” ha commentato Pilhofer durante il panel.
La situazione italiana del giornalismo dei dati è stata brevemente illustrata da Elisabetta Tola di Formica Blu che ha evidenziato come in Italia l’ostacolo principale sia ancora rappresentato dall’accesso limitato ai dati stessi. “La situazione è diversa da regione a regione. Ad esempio la regione Piemonte è all’avanguardia per quanto riguarda l’open data, ma c’è ancora molto da fare”.
Inoltre, le redazioni nazionali non offrono team di data journalist che comprendano sviluppatori, graphic designer o esperti in data mining. “Uno dei primi esempi di data journalism in Italia è il progetto di Amelia Beltramini pubblicato su Focus. Amelia ha lavorato da sola, con grande tenacia, e dopo due anni è riuscita a ottenere e pubblicare i dati degli ospedali italiani” ha spiegato Tola aggiungendo che “il limite del suo articolo è la presentazione visiva. Si vede che tutto il lavoro è stato fatto solo da Amelia: i dati sono pubblicati in tabelle navigabili, ma se il progetto fosse stato supportato da una presentazione grafica diversa avrebbe sicuramente avuto maggiore circolazione e impatto”.
Insomma, la storia del giornalismo dei dati in Italia è appena incominciata e il campo è ancora tutto da scoprire, ma tutto sembra indicare che, per dirla con le parole di Simon Rogers, presto il data journalism diventerà prassi comune nella professione giornalistica.
Giornalisti di domani siete stati avvisati per tempo…
Claudia Costa