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A 150 dall’Unità ricerchiamo ancora la Bellezza?

Venerdì, a partire dalle 10, la sala Lippi ha  fatto da cornice a interessante dibattito, purtroppo alla presenza di pochi mattinieri, dal titolo “Rimpatriata. Qual’è l’Italia che si festeggia?”. A riflettere sulle molteplici questioni che animano il dibattito intorno all’Unità, oggi come ieri, c’erano il prof. Giuseppe Monsagrati, docente di storia del Risorgimento alla Sapienza di Roma e una delle penne più taglienti del Corriere della Sera, Sergio Rizzo.I ragazzi di Radio Popolare, Matteo Marchetti e Lucca Sappino, mediatori e nello stesso tempo animatori del dibattito, hanno posto rilevanti questioni sul senso del Risorgimento 150 anni dopo, nell’era dei leghisti e di uno strano federalismo incompiuto.

Alla domanda sulla  diffusa partecipazione popolare ai festeggiamenti, registrata nella gran parte della Penisola, Rizzo risponde che “La cosa che fa più impressione è il contrasto fra l’indifferenza della classe politica e l’attenzione dei cittadini. Benigni, con la sua esegesi dell’inno a Sanremo, ha registrato 20 milioni di telespettatori. D’altra parte l’Italia è l’unico paese in cui manca una festa nazionale veramente condivisa. Ridicole poi le argomentazioni addotte da chi non ha festeggiato: la crisi economica sbandierata-è proprio il caso di dirlo- da Confindustria e vari esponenti del Governo, è venuta meno quando si è trattato di decidere sull’Election Day”.

Sulla questione della neo-nostalgia borbonica il prof Monsagrati ha parlato di un fenomeno preoccupante, poiché sempre più diffuso. Ma ha ricordato che “Le stragi nei confronti della popolazione durante il primo periodo dell’Unità d’Italia sono state denunciate mentre quelle compiute sotto il regno degli ultimi Borboni no.” Rizzo ha completato il quadro affermando che “La nostalgia dei Borboni si ha o per ignoranza o per malafede”.

E’ormai risaputo dunque che il Sud avesse problemi gravi anche prima dell’Unità. Ma, come ha ben ricordato Rizzo “Subito dopo, sotto il Fascismo in massima misura, non è stato fatto molto per diminuire il divario economico con il resto del territorio. Soltanto in pochi momenti, come nel secondo dopoguerra, dove governava una classe politica illuminata, le distanze sono diminuite, fino ad oggi dove questo dato tocca i massimi storici.”

Questa affermazione ha dato inevitabilmente luogo a delle considerazioni amare sul presente. A questo proposito il prof Monsagrati ha fornito una particolare chiave di lettura della storia italiana: il nostro Paese da sempre attraverserebbe  fasi illuminanti e fasi di buio e di crisi. Attualmente ci troveremmo in una fase regressiva, non solo a livello economico, perché avremmo perso l’aspirazione alla bellezza, che invece sarebbe una caratteristica portante dell’italianità, ben prima del 1861.

Riproposta anche dai due relatori, l’unica ricetta per combattere l’imbruttimento generale,visibile negli sfregi al territorio, nell’atteggiamento mutato nei confronti della cultura, sembrerebbe quella d’ investire il più possibile sulle nostre risorse, ovvero creatività e patrimonio territoriale. Un’ovvietà che però viene smentita quotidianamente dai continui tagli alla cultura, o dall’ultimo crollo di un monumento. Che avesse ragione chi scriveva che gli  Italiani vivono circondati dalla bellezza ma non la meritano?

Silvia Colangeli

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