Il Festival di ognuno di noi
Non conoscerlo non era ammesso. Ignorarlo era impossibile. Eppure alcuni non si sono resi conto di quanto grande era ciò che stava accadendo. Sono stati moltissimi i lettori lontani che hanno notato un gran vociferare tra i corridoi dell’informazione online ed offline, come anche i visitatori presenti, che hanno assistito alla “presa di Perugia” da parte di una fiumana di giovani da tutta Italia e da tutto il mondo. Ma mentre queste giornate intense hanno appassionato donne e uomini di tutti i tipi e di tutte le età – non una setta fatta di individui politicamente etichettabili ma un popolo bellissimo fatto di singole persone – qualcuno non ha afferrato fino in fondo cosa stava accadendo.
Nonostante l’aspetto fresco ed i modi semplici, il Festival Internazionale del Giornalismo è stato un evento di enorme portata sociale e culturale – nonché storica, a mio parere, perchè ha sottolineato e documentato la fase di transizione che il giornalismo globale sta attraversando. Con l’umiltà e la semplicità di un laboratorio tra amici, come un grande saggio mascherato di abiti normali, questo Festival ha ribaltato di fatto, senza troppi giri di parole, le dinamiche del giornalismo vuoto ma pomposo a cui troppi si sono abituati.
Tuttavia questi pochi “confusi e felici” che non si sono accorti di tutto questo, insieme con qualche “letterato” che ha storto il naso per l’irruente presenza della Libertà, si contano sulle dita di una mano. In un turbinio di incontri ed un flusso di quel fare giornalismo che ci ha unito nel cuore dell’Umbria, coloro che non si sono resi conto della grandezza di queste cinque giornate sono stati davvero pochi. Persino gli ospiti più ostili ed egocentrici hanno capito: c’è stato chi ha cercato prontamente di adeguarsi all’inevitabilità del confronto ma anche chi si è letteralmente spaventato e ha preferito irrigidirsi, di fronte alla dinamicità e all’innovazione dei nuovi giornalismi.
Ma che cosa è stato questo festival per chi lo ha vissuto pienamente? Non ho bisogno di pensarci su nemmeno per un attimo per rispondere che si è trattato di un caso esemplare di condivisione e partecipazione, nell’accezione più ampia di queste parole – tra le poche ancora dense di significato. Condivisione di spazi angusti e di tempi difficili, ma anche di belle utopie ed ambizioni sconvolgenti. Partecipazione attiva dal basso, attraverso la spinta – e la grinta – di giovanissimi talenti che hanno voglia di riprendersi gli spazi che sono stati loro sottratti.
Cosa ha significato per me questo Festival?
Personalmente mi sono stancata di chi si lamenta di come vanno le cose nel nostro Paese ma non osano provare a sognare. E’ vero che viviamo in un sistema complesso, difficile da rimodellare. Ma questo evento è stata un’occasione per ricominciare ad avere fiducia. Fiducia non nel futuro come un’entità astratta; non nei giovani come fascia della popolazione a sè stante; non in un’etica giornalistica da manuale; ma una fiducia nelle persone e in ciò che hanno dentro, nel loro bagaglio personale, nei loro sguardi. Fiducia in coloro che si chiamano per nome, che si guardano e si sorridono, discutono e collaborano, che si mobilitano quando ce n’è bisogno.
Ecco cos’è il Festival Internazionale del Giornalismo di Arianna, per me. Mi ha dato l’opportunità di conoscere altri che come me credono ancora ardentemente nel fatto che basti un po’ di forza di volontà in più da parte di tutti noi per far sì che il giornalismo si faccia promotore del risanamento sociale che tanto ci serve in questo momento storico. Lottare insieme per un mondo migliore. In fondo questo abbiamo fatto, anche se forse, tra un comunicato stampa la mattina ed una partita a freccette la sera, non ce ne siamo accorti.
Grazie di cuore a tutti.
Valeria Gentile