Il futuro del giornalismo culturale. Intervista a Giovanna Zucconi
Il suo è un giornalismo particolare, di settore. Giovanna Zucconi da sempre si occupa di cultura. Lo fa con un lavoro trasversale: in televisione ( Che tempo che fa su Rai Tre) , per radio (Sumo su Radio2) e sulla stampa (su L’espresso e la Stampa). E il suo successo è la dimostrazione che, tra un varietà e un altro, si può ancora parlare di letteratura. Perché, come ci spiega in un’intervista, non bisognerebbe mai sottovalutare chi sta dall’altra parte.
Quali ripercussioni potrebbe avere la crisi sullo spazio dedicato dai giornali alla cultura?
I giornali per tagliare i costi saranno obbligati a ridurre le pagine. E da un certo punto di vista questo potrebbe avere degli conseguenze positive. Oggi i giornali sono stati gonfiati al punto tale da essere illeggibili. Un giornale più leggero aderirebbe meglio alle abitudini quotidiane. La lettura deve essere anche agevole. D’altra parte, il rischio è che, per raccogliere pubblicità, si aumentino i contenuti frivoli a spese della buona informazione.
Può la radio fronteggiare la concorrenza della tv attraverso una migliore offerta?
Sì, ma bisogna capire un concetto chiave. I mezzi non esistono in quanto tali, nemmeno la radio. Non è detto che la tv obblighi a mantenere un basso livello di contenuti. La tv è solo un mezzo e, teoricamente, potrebbe trasmettere qualunque messaggio. Dipende da come la si usa. Dire che la tv costringe a un riempimento di tipo frivolo, leggero è un’opinione reazionaria. Non è vero. La tv consente anche l’inchiesta, l’approfondimento. E si possono anche fare un quiz, purché siano fatti bene. Chi l’ ha detto che lo spettatore vuole tette, culi e pailettes? Ad esempio, il successo di festival come questo è la prova che la gente vuole altro. Penso che sia irrispettoso e offensivo attribuire al pubblico gusti sciocchi e volgari.
Ha ancora senso scrivere di cultura in un paese dove la gente legge sempre meno?
Non è vero che in Italia si comprano meno libri. Il problema è che si comprano sempre gli stessi. Da molti anni il numero dei lettori è basso, ma costante. Di certo non sarà il giornalismo culturale che cambierà le cose. Occorre un gesto da parte delle istituzioni che vada ad agire nelle scuole. Solo così potremmo arrivare ai livelli di lettura europei. Il mio è un giornalismo settoriale che, come quello sportivo o economico, parla ad un pubblico già interessato alla materia, ed è molto difficile riuscire a forare la barriera dei non lettori.
Parlare di un libro in radio è diverso dal farlo in televisione?
Sì. Parlare di un libro in un programma di Radio2 il sabato pomeriggio è diverso dal presentarlo la domenica da Fazio. Devi sempre pensare a chi hai dall’altra parte, sia per quanto riguarda la scelta del libro, sia per quello che concerne la maniera in cui ne parli. Anche in termini quantitativi: 3 milioni di persone sono tante, e se non riesci a trasmettere un po’ di passione rischi di allontanarle invece che avvicinarle.
Pensa che Iinternet stia influenzando la radio attraverso i podcast?
No, il format non ne è influenzato. Il podcast è qualcosa che riguarda il dopo-trasmissione e non influisce. Sai soltanto che ciò che dici potrà essere ripescato e ascoltato in qualsiasi momento.
Il grande cambiamento arriverà quando le web radio avranno maggior visibilità ed estensione.
Cosa ne pensa di questo festival?
Eventi come questi danno la possibilità di parlare e di discutere con persone lontane, di farti frastornare da punti di vista diversi. Mi sembra che alla base ci sia una passione civile comune, altrimenti non saremmo qui a parlare tanto di questo mestiere.
Giulia Zaccariello
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